Disney ha scoperto da qualche anno un nuovo filone di incassi cinematografici: i remake live action. In questo decennio Disney ha infatti realizzato vari remake dei suoi classici animati utilizzando però (in quasi tutti i casi) attori in carne ed ossa. Quest’anno, dopo Dumbo e Aladdin, è il turno de Il re leone, ancora oggi tra i più grandi successi Disney di sempre. Il remake, girato quasi completamente in CGI, è diretto da Jon Favreau e vanta un cast stellare di doppiatori, tra i quali Donald Glover, Seth Rogen, Chiwetel Ejiofor e Beyoncé (nel doppiaggio italiano troviamo invece Marco Mengoni, Elisa, Edoardo Leo e Stefano Fresi). La storia è nota a tutti: il perfido leone Scar usurpa la corona della savana africana uccidendo il re Mufasa e spingendo Simba, il piccolo e inesperto erede al trono, a fuggire. Dopo molti anni, l’ormai cresciuto principe e i suoi amici organizzeranno la riconquista del regno.

Parlare di questo film senza tirare in ballo l’intertestualità è quasi impossibile, ma è altrettanto difficile non riconoscerne la magnificenza tecnica. Favreau e il suo team di artisti VFX avevano già raggiunto enormi risultati nel 2016 con Il libro della giungla, che vedeva un unico personaggio umano in mezzo ad animali e ambienti realizzati tramite computer grafica. Il risultato, visivamente sorprendente, è stato superato in Il re leone, che mostra al pubblico ancora più personaggi fotorealistici per una quantità di tempo ancora maggiore.

Il film sfida le etichette di genere. Se Il libro della giungla, vista la presenza di un attore umano nel cast, era considerabile film live action, per Il re leone non si può fare lo stesso discorso. Non essendo una storia che comprende esseri umani, è stato necessario ricorrere alla CGI per qualunque personaggio, rendendo di fatto impossibile definirlo un film dal vivo. Il re leone è quindi una vera e propria unicità nell’ondata di remake live action prodotti dalla Disney negli ultimi anni, e in generale nel panorama cinematografico attuale.

Il re leone di Favreau va per forza di cose paragonato alla sua controparte animata, uscita in sala ormai venticinque anni fa. La trama è praticamente identica a quella del film d’animazione, che attingeva a piene mani dall’Amleto di Shakespeare, e vanta quindi un carico emozionale e narrativo notevole, sorretta anche dalla memorabile colonna sonora reinterpretata per l’occasione. Sono stati però aggiunti dei dettagli di varia natura. Ad esempio l’aumento di importanza delle figure femminili, in maniera comunque sempre coerente con i personaggi e il racconto. La iena Shenzi ottiene un ruolo prominente nel comando del maligno branco di predatori, mentre la giovane leonessa Nala viene maggiormente approfondita; Sarabi, madre di Simba, finisce addirittura per ricoprire un ruolo chiave nello smascheramento di Scar sul finale delle vicende.

Tra le aggiunte, particolarmente d’impatto è la sequenza della fondamentale scoperta di Rafiki, sciamano e consigliere dei re: Simba è sopravvissuto. Se nell’opera originale questo snodo di trama era caratterizzato da breve durata e semplicità, qui viene maggiormente articolato ed esteso. Diversi minuti di immagini senza dialogo ci mostrano il lunghissimo viaggio dei petali portati dal vento, entrando in contatto con varie specie animali e attraversando i luoghi più impensati (comprese le interiora di una giraffa). Oltre che per la bellezza della realizzazione, questa sequenza è significativa per il suo inserirsi perfettamente nelle logiche degli equilibri naturali, espresse dall’idea del Cerchio della Vita. Tutto è in armonia, e colui che è destinato a mantenere quest’armonia viene ritrovato proprio grazie ad essa, in un disegno del fato che rispetto al film d’animazione è molto più marcato.

Nonostante questi elementi di valore aggiunto del remake, purtroppo il paragone con l’opera originale va a sfavore del film di Favreau. Il motivo è un fondamentale problema di forma. Il re leone è nato come pellicola animata, e ciò ha permesso di dare ai suoi personaggi possibilità di movimento e caratterizzazione espressiva notevoli (nell’animazione “se puoi sognarlo, puoi farlo”). Ne è derivata la possibilità, colta al volo, di inserire elementi di sceneggiatura decisamente più indicati per un cartone animato che per un film live action o comunque fotorealistico. Nel creare il remake, questo aspetto è stato palesemente ignorato. La necessità di rimanere fedeli al Classico Disney ha portato a mantenere quasi tutte le sequenze di frenesia e comicità gestuale, che però perdono gran parte della loro efficacia quando vengono messe in scena con una CGI così tendente al realismo. Perciò, quando si notano la legnosità di certi movimenti e l’inespressività dei volti, si finisce per essere colti da una sensazione di disagio rassomigliante in tutto e per tutto al fenomeno della uncanny valley.

Un altro paragone importante, di cui si è già parlato, è quello con Il libro della giungla. Nonostante quest’ultimo presentasse una massiccia quantità di computer grafica, si era trovato il modo di armonizzarla alla perfezione con l’unico elemento umano presente. Proprio grazie alla presenza di quest’ultimo, si aveva un metro di paragone con il quale impostare la forma e le animazioni dei personaggi digitali. Il re leone invece, partendo fin da subito come una “conversione” in CGI fotorealistica del film originale, perde una simile possibilità di adattamento e diventa quel che abbiamo visto: la mediocre ombra di un grande racconto.

A conti fatti dunque, Il re leone conta più come operazione cinematografica che come semplice film. La grafica computerizzata è una realtà sempre più diffusa e importante nel cinema contemporaneo, e lamentarsi della sua eccessiva presenza è ormai inutile, se non controproducente. Ciò che più conta ora è il modo in cui questa tecnologia viene utilizzata e applicata al cinema. Dato l’enorme successo in sala di Il re leone e Il libro della giungla, dovremo aspettarci di vedere esperimenti di CGI sempre più frequenti e sempre più audaci. Si spera a questo punto che i risultati superino quelli visti in Il re leone, rivelatosi un perfetto esempio di supremazia della tecnica su tutto il resto.

 

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