I Marvel Studios, oltre ad essersi confermati come brillanti nella programmazione e nella cementificazione del proprio Universo Cinematico, hanno avuto la formidabile idea di affidare la regia dei loro progetti ad autori noti principalmente per aver diretto commedie o piccoli lungometraggi indipendenti. Una scelta peculiare ma che, a posteriori, si è rivelata vincente. Molti di essi per certi versi hanno trovato la loro vocazione e hanno dimostrato un’eccletticità importante ponderando con oculatezza la loro verve da comedy con i toni action e drammatici delle pellicole supereroistiche.

Jon Favreau, che grazie al successo dei due Iron Man ha dato il via al MCU, era un semi-debuttante e non aveva mai diretto film d’alto budget. Infatti, Favreau era ed è un attore caratterista, una spalla, e proprio nella saga di Iron Man si è riservato il ruolo del fido guardaspalle/tuttofare di Tony Stark. Dal punto di vista registico non è stato sbalorditivo, in quanto il punto di forza dei due Iron Man di Favreau è stata l’irruenza e la straripante bravura di Robert Downey Jr., finalmente a suo agio con un personaggio così sfaccettato. Favreau ha avuto il merito di saper bilanciare i toni da comedy con il dramma e l’action di un cinecomic e, insieme a Downey Jr., ha scelto il giusto tono da dare al protagonista ed è stato fondamentale per la riuscita del personaggio.

Guardando i vari registi che si sono susseguiti nel MCU si nota che nella prima fase (2008-2012) tutti i lungometraggi sono stati diretti da cineasti esperti e con un curriculum di tutto rispetto. Louis Leterrier (L’Incredibile Hulk, 2008), Joe Johnston (Captain America, 2011), Kenneth Branagh (Thor, 2011) e Joss Whedon (The Avengers, 2012) sono tutti registi che hanno avuto esperienze d’alto livello, quotati e dal giusto appeal. Infatti la Marvel, per dare maggior peso alle proprie produzioni, si è affidata a loro per ottenere un “certificato di qualità”, per dimostrare al mondo che le produzioni dei cinecomic possono essere valide e possono coinvolgere nomi blasonati. Quindi la scelta di tali registi ha permesso loro di incrementare il proprio appeal, elevando il marchio e fornendo credibilità al progetto. Inoltre, la scelta di optare su registi cosi esperti è servita per costruire e caratterizzare in maniera idonea i personaggi-cardine del progetto a tre fasi, ponderato e prefissato dalla Marvel nel 2008.

Tutti loro sono stati fondamentali per la costruzione delle basi del MCU. Joss Whedon ha avuto l’arduo compito di mettere insieme il team e di dar vita a una pellicola corale sperimentale, con l’arduo compito di non snaturare quanto fatto fino a quel momento e di fornire il giusto spazio ai vari protagonisti. Non a caso, per tale compito, la Marvel ha chiamato Whedon, un autore televisivo in grado di sapersi orchestrare bene con tanti attori, un regista di film di culto la cui bravura nel tessere brillanti sceneggiature gli ha permesso di amalgamare i vari personaggi presenti nei vari film.

The Avengers superò le aspettative, ottenendo ottime recensioni, e incassò tantissimo al box office. Il suo successo confermò che i personaggi funzionano e che ormai, qualunque regista fosse subentrato agli autori delle pellicole d’origine, sarebbe stato un cavallo vincente. Infatti per la seconda parte sono subentrati autori poco noti: Joe e Anthony Russo (Captain America: The Winter Soldier, 2014), Alan Taylor (Thor: The Dark World, 2013), Shane Black (Iron Man 3, 2013) e James Gunn (Guardiani della Galassia, 2014), Peyton Reed (Ant-Man, 2015), autori diversissimi e poco noti al pubblico. Inoltre avevano esperienze differenti tra di loro e tutti venivano dal mondo del basso budget. L’unico elemento che fa da fil rouge tra di loro è la comedy. Tutti loro hanno partecipato a pellicole che avevano in minima (o grande, come nel caso dei primi due film dei Fratelli Russo e di Peyton Reed) parte degli elementi provenienti dalla commedia. Questo principio comune non è da sottovalutare poiché anche nei fumetti il dramma e la commedia si contaminano frequentemente. Nella Marvel fumettistica non ci sono mai stati personaggi troppo seri, tutti hanno avuto, chi più e chi meno, il giusto tono derivato dall’equilibrio tra questi due costituenti. I fumetti sono sempre stati la base per cementare l’universo filmico del MCU e per questo Whedon è stato sin da subito il giusto capitano per portare avanti tale ecosistema narrativo.

Tra i registi della seconda fase, a emergere maggiormente è James Gunn, un regista nerd di film di culto come Super (2010), che riesce nell’impresa di portare al successo il semi-sconosciuto fumetto del team spaziale denominato Guardiani della Galassia. Gunn riesce a coordinare uno strambo team, caratterizzando in modo brillante ognuno dei personaggi, fornendo il giusto tono e background a ognuno di essi. Inoltre, il regista ha inaugurato la “fase cosmica” proponendo un film interamente ambientato nello spazio e gettando un primo ponte fra gli eroi terrestri e quelli cosmici.

Guardiani della Galassia è un film marcatamente improntato sullo stile del regista. Infonde numerosi elementi preponderanti della cultura pop degli anni Settanta (e Ottanta nel seguito) e fornisce un tocco colorato e bizzarro, proponendo uno spettro visivo basato su principi cromatici molto evidenti, giocando sui colori primari. Inoltre Gunn propone una pellicola incentrata sull’elemento musicale, un ingrediente che sarà il costituente principale della riuscita della serie, e lo fa sfruttando le canzoni come elemento narrativo sia diegetico sia extra-diegetico, facendone il fulcro dell’intero racconto; una scelta che gli ha permesso di infondere alla (e poi alle) pellicola un suo particolare stile, visivo e non, usando le tracce musicali come base per sottolineare i momenti chiave del racconto.

Gunn tra tutti è quello che è riuscito a mantenere la sua indole nerd e il proprio stile personale ed è, per certi versi, il vero erede di Joss Whedon. Non è un caso che dopo Avengers: Age of Ultron (2015), la supervisione del MCU sia passata nelle sue mani (sempre tenendo conto del deus ex machina, Kevin Feige). Tuttavia Gunn non è stata una vera sorpresa: a sorprendere sono stati il suo approccio e la facilità dimostrata nel passare da piccoli film a blockbuster, ma ha sempre mantenuto il suo stile visivo e registico. Quindi più che sorpresa, si potrebbe definire consacrazione.

All’interno della fase due ci sono altri registi che sono emersi e che hanno spiazzato tutti, dalla produzione al pubblico. Il caso più lampante è quello dei fratelli Russo in quanto, prima di entrare nella famiglia della Casa delle Idee, avevano diretto solo alcune commedie e, a noi italiani, erano noti per la disastrosa pellicola Welcome to Collinwood, remake all’americana del capolavoro nostrano I Soliti Ignoti. Con il folgorante debutto marvelliano in Captain America: The Winter Soldier i fratelli Russo hanno vissuto una rinascita, proponendo un thriller politico supereroistico, con il quale hanno stregato i dirigenti della Marvel, riscoprendosi brillanti registi d’azione. Un successo di pubblico e di critica che ha permesso ai due registi di guadagnarsi la riconferma per Avengers 2.5, Captain America: Civil War, pellicola corale d’ampia portata e banco di prova per strutturare il futuro kolossal, Avengers: Infinity War. Proprio grazie alla loro bravura nel gestire l’imponente cast del terzo capitolo di Captain America, la Marvel si è convinta di affidare la regia del doppio Avengers ai fratelli Russo. Infatti, il buon vecchio mentore del team, Joss Whedon, si era ritirato poiché voleva ritornare a piccoli film originali. Si ebbe quindi un passaggio di testimone, Whedon – Russo Brother, con la supervisione dell’altro regista favorito, James Gunn.

La terza e ultima fase ci propone un altro cambiamento nell’ottica registica della Casa delle Idee. Jon Watts (Spiderman – Homecoming, 2017), Taika Waititi (Thor: Ragnarok, 2017) e Ryan Coogler (Black Panther, 2018) sono registi giovani, dallo stile dinamico e moderno e provenienti dal cinema indipendente. Nelle loro precedenti esperienze ci sono piccoli gioiellini low budget e hanno ampiamente dimostrato di essere in grado di creare opere emozionanti coniugando in maniera oculata la spettacolarità con l’introspezione dei personaggi. Se si nota, nessuno di loro ha realizzato pellicole di “origini”: le storie di Pantera Nera e di Spiderman non sono propriamente delle vere prime storie. Se si analizzano si evince che la costruzione narrativa delle due storyline sono congegnate per proporre storie dove gli eroi sono già formati e hanno una loro introspezione. Black Panther, come struttura, è perlopiù un secondo capitolo che un’opera prima sul personaggio poiché c’è uno scavalcamento dell’archetipo pathos emozionale delle origini dove l’eroe viveva un repentino sbalzo tra euforia e paura dovuto all’acquisizione dei superpoteri. .Spiderman: Homecoming agisce nella medesima maniera, tuttavia, in questo caso la scelta è dovuta al fatto che si trattava del terzo riavvio sul personaggio. Poi parliamoci chiaro, chi non conosce le origini di Peter Parker? Sull’arrampica-muri è stato effettuato un lavoro di cambio di prospettiva; la Marvel ha deciso di puntare su un’ambientazione più in linea con i fumetti e di proporre un adolescente ancora al liceo. Quindi una scelta non solo per necessità ma anche per ampliare il proprio potenziale, coinvolgendo un pubblico di giovanissimi che grazie al Peter Parker teenager possono immedesimarsi. Taika Waititi, autore neozelandese, ha avuto invece il compito di rivitalizzare il personaggio di Thor dopo il brusco calo avvenuto in Thor: The Dark World. Waititi ha riplasmato il personaggio fornendo uno stile colorato e un umorismo grottesco più in linea con i Guardiani della Galassia. Infatti, Gunn ha posto le basi per le “pellicole spaziali” della Marvel e Waititi ha proseguito con quegli elementi predefiniti, inserendo Thor in un contesto più ampio, slegandolo dal suo ruolo di paladino di Asgard.

In definitiva le scelte e le strategie della Marvel sono state diverse per ogni fase. Una prima di costruzione e di aumento della credibilità del progetto, coinvolgendo cineasti esperti e a loro agio con grandi produzioni; la seconda proponendo autori bravi ad alternare parti comiche a quelle drammatiche e, infine, una terza parte dove si punta su giovani autori provenienti dal cinema indie, in grado di fornire uno stile di regia fresco e attuale, ma anche capaci di creare una forte spettacolarizzazione senza accantonare la caratterizzazione dei personaggi.

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