Miei cari amanti del brivido,

siamo arrivati in quel periodo dell’anno in cui possiamo finalmente gustare titoli sanguinolenti più o meno noti in sale semi-vuote, mentre il cinema mainstream notoriamente langue; siete stati attenti alle proposte horror di quest’ultima stagione?

Il film di cui parliamo oggi è in effetti molto “estivo” nel suo confezionamento, ma non per questo più rassicurante; mi riferisco a Midsommar di Ari Aster (e volutamente ometto l’orrendo sottotitolo che non c’entra assolutamente nulla, per amore di Carpenter).

Aster ha fatto molto parlare di sé l’anno scorso con Hereditary, suo lungometraggio d’esordio che personalmente non ho trovato così eccezionale, ma che effettivamente aveva diversi punti di forza, e in Midsommar vi è una ripresa (e un’esasperazione) di alcuni temi. Ma ne parleremo tra poco.

Midsommar comincia negli Stati Uniti, in un inverno nevoso e cupo, quando Dani, la nostra protagonista, perde i genitori e la sorella in un orrendo omicidio-suicidio compiuto da quest’ultima, da tempo affetta da bipolarismo. Per cercare di riprendersi dal lutto, Dani si unisce al suo fidanzato Christian e ai suoi colleghi universitari per prendere parte a un festival in uno sperduto villaggio della Svezia, Hårga, che celebra il solstizio d’estate per 9 giorni ogni 90 anni. Uno dei ragazzi, Pelle, è infatti originario di quei luoghi, mentre un altro, Josh, desidera studiarne la tradizione per la sua tesi in antropologia. Ai quattro si aggiunge anche Mark che, come capiremo subito, è il classico studente americano con poco cervello e testosterone prepotente. Giunti al villaggio, nel cuore della foresta svedese, i ragazzi si trovano di fronte a una piccola ma affiatata comunità arcaica, bucolica, un’oasi lontana dalla civiltà e dalla tecnologia, in cui tutti sono vestiti di bianco e parlano una strana lingua, l’Affekt (completamente inventata dal regista). Al di là delle bizzarrie un po’ new age un po’ Amish, se vogliamo, tutti i lati oscuri della comunità vengono presto a galla, attraverso riti barbari, macabri e sanguinolenti, come il suicidio degli abitanti al compimento dei 72 anni e, naturalmente, i sacrifici umani.

In questo assurdo contesto, prende piede pian piano l’unico elemento che richiama davvero l’horror classico, ovvero il bodycount, poiché i forestieri (gli amici di Christian e altri due turisti) scompaiono uno dopo l’altro. Il tutto avviene sotto la luce perenne e accecante del sole, che in quel periodo dell’anno dura per tutto il giorno.

La vicenda si chiude con l’elezione di Dani come Regina di Maggio e, dunque, con il suo ingresso ufficiale nella comunità di Hårga in uno strano connubio di fiori e fuoco.

In Midsommar, Aster crea un mix furbo, sapiente e non privo di una certa ironia di decine di tematiche e immagini riprese da opere più o meno conosciute, per creare qualcosa di estremamente originale, potente, cattivo, e scommetto che vi divertirete a scovare le similitudini e le citazioni. Vi verrà immediato, ad esempio, il paragone con quel capolavoro “folk horror” di Wicker Man (riproposto ne Il prescelto con Nicolas Cage) che si concentrava proprio su una tribù rurale dedita a pratiche pagane e naturalistiche e, ovviamente, ai sacrifici; in seguito, potrete pensare a 2000 Maniacs! o ad American Gothic. In secondo luogo, con mio sommo apprezzamento, ritroverete l’asfissiante sensazione di disagio di Ma come si può uccidere un bambino?, anch’esso girato totalmente di giorno. La figura di Dani (Florence Pugh), peraltro, richiama inevitabilmente alcune “eroine” del filone demoniaco-stregonesco, come Rosemary Woodhouse (Rosemary’s Baby), Heidi Hawthorne (Le streghe di Salem) e Thomasin (The Witch) che si trovano accerchiate da una realtà oscura e ne vengono fagocitate.

Oltre alla centralità dell’isterismo religioso, che da decenni prolifica nel mondo del cinema horror, Aster si concentra soprattutto sul fattore individuale, facendo di Dani un personaggio in tutto e per tutto tragico. La ragazza è sola al mondo, vittima della disgregazione prima della famiglia e poi della coppia, poiché Christian, ormai da tempo desideroso di chiudere la relazione, continua a starle accanto per pura pietà e non esita a tradirla con una ragazza del villaggio. Il destino della protagonista, tuttavia, è già scritto: una volta attraversato il sentiero di fiori gialli (Il mago di Oz) e varcata la soglia del villaggio, inconsapevolmente, lascia da parte la sua vita passata per divenire membro di una nuova famiglia, che saprà comprenderla e condividere le sue gioie e i suoi dolori (la scena del pianto collettivo è emblematica).

Per far sì che ciò avvenga, Dani (dall’ebraico “scelta da Dio”) deve chiudere l’unico legame che la tiene ancorata al suo vecchio mondo, ovvero Christian che, come i suoi amici, è guidato dal puro egoismo e rappresenta un ostacolo; e per questa ragione, colpevole di tradimento, merita di essere sacrificato (Christian – Cristo) insieme ad altre 8 vittime, come vuole la tradizione della comunità. Anche in questo caso, come in Hereditary, la logica macabra e impietosa della setta rappresenta in realtà un’opportunità per l’individuo e Dani, interamente ricoperta di fiori, vive un’autentica rinascita.

Basando la vicenda su esperienze realmente vissute, Aster dipinge un dramma personale di rara bellezza e colloca il tutto in una cornice tanto incantevole quanto soffocante, giocando su espedienti visivi (il sole di mezzanotte, i trip psichedelici da funghi) e sonori (il pianto perenne di un neonato all’interno del dormitorio). Gli elementi strutturali di natura bucolica, come gli edifici e i costumi con simboli runici, (frutto di un intenso studio dello scenografo Henrik Svensson sul folklore scandinavo e gli antichi culti norreni), collocano il tutto in una dimensione fiabesca ma al contempo disturbante, creando un efficace effetto di straniamento e facendo passare in secondo piano i punti interrogativi.

In sostanza, se non volete perdere un horror davvero sui generis, che sia condito da una regia a regola d’arte e che vi regali oltre due ore di angoscia, confusione e meraviglia, vi consiglio caldamente di godervi questo piccolo capolavoro che, sono sicura, non vi lascerà indifferenti.

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata