La tragica quanto affascinante storia di Charles Manson è stata ormai raccontata innumerevoli volte, in un’enorme varietà di modi. Con il suo ultimo film, Charlie Says, anche Mary Harron si è cimentata nel narrare la vicenda, raccontandola dal punto di vista di tre delle ragazze condannate per gli omicidi commessi dalla Manson Family. Le ragazze in questione sono Leslie Van Houten (Hannah Murray), Patricia Krenwinkel (Sosie Bacon) e Susan Atkins (Marianne Rendón); ad interpretare Manson è Matt Smith, mentre la ricercatrice Karlene Faith, che cercherà di rieducare le tre detenute, è Merritt Wever.

Charlie Says, Charlie dice. Già dal titolo è inevitabile che la figura di Manson sia centrale nel racconto, come tutta la cornice narrativa che lo riguarda. Il film infatti alterna sequenze ambientate in prigione a flashback che mostrano le vite degli adepti di Manson e le azioni commesse dalla sua “famiglia”. Queste ultime sono decisamente più presenti, rendendo le altre poco più che un pretesto per raccontare la storia della Family e del suo leader.

Il grande difetto di Charlie Says è proprio questo: sceglie un approccio inedito per trattare le vicende della setta, ma lo trascura per concentrarsi una storia che, oltre ad essere ormai quasi inflazionata, non ha neanche una resa così eccelsa sullo schermo. Non per colpa del cast, sempre azzeccato, dalle speranzose protagoniste allo squilibrato Manson di Matt Smith. Quel che manca è una visione personale sulle azioni di questi personaggi: azioni che appaiono fredde, scontate per chiunque conosca la storia, come fossero dépliant recitati. Una sceneggiatura che non spicca quindi, accostata oltretutto a tempi narrativi troppo dilatati e ad una regia poco ispirata.

In tutto ciò, la parte potenzialmente più interessante del film, quella che vede le tre ragazze in carcere, viene sviluppata solo il minimo indispensabile, mentre avrebbe potuto rappresentare il fulcro in grado di distinguere davvero l’opera dalle sue simili. Pur non privo di pregi, Charlie Says decisamente non si pone tra i migliori film sulle vicende Manson. Per fortuna non è nemmeno ai livelli dell’imbarazzante The Haunting of Sharon Tate, horror con lo stesso sfondo uscito in sala meno di un mese prima.

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