C’era un tempo in cui, insieme a Bruce Willis, Sylvester Stallone e Jean-Claude Van Damme, il mondo del cinema action era dominato dai muscoli esplosivi di Arnold Schwarzenegger. Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, quando anche la fantascienza e il fantasy avevano fatto passi da giganti, venivano sfornati titoli di culto ed eroi dal testosterone prepotente, inarrestabili nonostante le sparatorie e le esplosioni. E’ proprio in quest’universo dominato da omaccioni badass che si insinua la figura di Shane Black. Questo nome non dirà molto ai più, eppure è proprio grazie a lui che hanno preso vita alcune perle quali Arma letale, Arma letale 2, L’ultimo boyscout e Last action hero. Ma oltre ad occuparsi di sceneggiatura e produzione, Black si è anche divertito a fare l’attore: ricordate il soldato occhialuto Hawkins che – forse a causa delle sue barzellette stupide – divenne la prima vittima dell’alieno di Predator (1987)? Come a voler chiudere un cerchio, dopo più di trent’anni, è proprio il beneamato Shane a scrivere (con Fred Dekker) e dirigere il quarto capitolo della saga inaugurata da John McTiernan e a dare vita The Predator, l’ultima avventura del franchise.
Durante una missione in Messico, il tiratore scelto Quinn McKenna si imbatte in un mostruoso Predator; nel tentativo di sfuggirgli, gli sottrae il casco e la polsiera per poi inviarli a casa sua negli Stati Uniti. Questa bravata non passa inosservata all’Esercito, che lo spedisce insieme a un gruppo di ex soldati emarginati, autodefinitisi “loonies”. Il figlio di McKenna, Rory, un bambino dalle straordinarie capacità intellettive, mette involontariamente in funzione gli oggetti, provocando il risveglio e la fuga dell’alieno dal laboratorio che lo teneva sotto osservazione. A questo punto il gruppo di militari, insieme alla scienziata Casey Bracket, parte alla ricerca della creatura per salvare il bambino e il pianeta dalla distruzione.


The Predator, c’è da dire, parte con le migliori premesse, con un inizio movimentato e originale, e dove l’elemento naturale introduce e in qualche modo accompagna costantemente la storia, come a voler creare un legame con il primo episodio della saga. Interessante anche il retroscena della vicenda, in cui si viene a conoscenza della natura dell’alieno, dei suoi obiettivi e del fatto che, dalla prima incursione, la sua razza abbia continuato a considerare la Terra come il proprio territorio di caccia, evolvendosi e rafforzandosi. Funziona anche l’idea che un bambino dalle incredibili doti possa in qualche modo rappresentare una risorsa per la specie aliena, che il ruolo di cavia da studiare si possa capovolgere. Eppure tutti questi presupposti vengono presto disillusi, per finire impantanati in una sceneggiatura a dir poco incoerente e lacunosa: dialoghi superficiali, reazioni poco credibili da parte dei personaggi – a loro volta totalmente privi di sviluppo – e scene completamente scollegate tra loro, tanto che viene da chiedersi se qualche passaggio sia sfuggito durante la visione. Il film finisce così per “avvolgersi” su sé stesso e diventare un’accozzaglia di cliché e banalità prevedibili che, nonostante il ritmo sostenuto, annoiano. Da uno sceneggiatore navigato come Black, peraltro comprensibilmente affezionato alla saga, non ci si aspetterebbe di certo errori del genere.
Cosa aspettarsi dunque da The Predator? Allo spettatore casuale non resta che godersi una pellicola di puro intrattenimento, dove l’azione, lo splatter e i mostri non mancano; per gli affezionati del franchise, ahimè, non si prospetta altro che la delusione e la corsa a rispolverare l’indimenticabile cult con Schwarzenegger.

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata