Dopo l’affermazione commerciale internazionale grazie all’enorme successo di Guardiani della Galassia (2014), James Gunn iniziò una collaborazione con Disney/Marvel che sarebbe sfociata nel sequel di tre anni dopo, dal successo ancora maggiore. Nel 2018 tuttavia, la riscoperta di alcuni controversi tweet del regista, risalenti a molti anni prima, portarono al suo licenziamento da parte di Disney. La principale rivale del colosso mediatico nel campo dei cinecomics, Warner/DC, non perse l’occasione e offrì un contratto a Gunn, affidandogli l’arduo compito di realizzare il sequel di uno dei film più difettosi del suo universo cinefumettistico: Suicide Squad (2016). Queste le origini di The Suicide Squad – Missione suicida, più un soft reboot del primo film che un vero e proprio seguito.

La premessa è praticamente identica a quella del capitolo precedente: il governo degli Stati Uniti è alle prese con una missione segreta, inaffrontabile con i metodi “ufficiali”, e deve quindi rivolgersi ad una improbabile squadra di supercriminali in cambio di riduzioni di pena. Solo Harley Quinn (Margot Robbie), Rick Flag (Joel Kinnaman) e Captain Boomerang (Jai Courtney) erano già presenti nel primo Suicide Squad; il resto dei personaggi è formato da esordienti nel mondo DC, tra i quali spiccano Bloodsport (Idris Elba), Peacemaker (John Cena), Ratcatcher 2 (Daniela Melchior), Polka-Dot Man (David Dastmalchian) e lo squalo umanoide King Shark (doppiato da Sylvester Stallone).

Senza troppi preamboli, l’ingaggio di Gunn si è rivelata la miglior cosa che potesse capitare alla saga degli eroi-criminali. Se i due Guardiani della Galassia, per quanto ottimi film, mostravano tutti i limiti contenutistici dettati da Disney e dalle sue politiche family friendly, The Suicide Squad offre all’autore un terreno di caccia molto più selvaggio. Il passato di Gunn, dagli anni dei b-movies con la Troma alle scorrettezze antieroistiche di Super (2010), qui torna a farsi sentire con fragore, regalando al pubblico un cinecomic tanto divertente quanto violento.

I colori saturi e sfavillanti dei due Guardiani sono sostituiti da tinte fredde, intrise di una cupezza che però riesce a non offuscare la spiccata impronta comica del film. A differenza del predecessore, The Suicide Squad offre infatti delle risate genuine, sia attraverso i dialoghi, scritti dallo stesso Gunn, che a livello visivo, anche senza scomodare le scene d’azione. Memorabili i contrasti tra Bloodsport e Peacemaker, ma anche i momenti dedicati a King Shark e a Polka-Dot Man, oltre alla sottotrama dedicata ad Harley Quinn, che tira fuori il meglio del personaggio in un tripudio di follia, colpi di scena e azione sfrenata.

Se i film del DC Extended Universe hanno complessivamente fallito nel cercare di darsi un’aura oscura e seriosa, mentre hanno ottenuto i risultati migliori uniformando il loro stile a quello del Marvel Cinematic Universe, con The Suicide Squad si è infine trovato l’equilibrio. Prendere le atmosfere fosche dei primi film DC e amalgamarle con la leggerezza marchio di fabbrica del MCU non era un’impresa facile, ma Gunn ci è riuscito, dando origine a quello che è a mani basse il miglior film di questo altalenante universo cinematografico. Non a caso a farcela è stato un autore che ha vissuto in alternanza entrambi questi mondi supereroistici.

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