Dopo i due capitoli de Il ragazzo invisibile, riusciti solo in parte, Gabriele Salvatores torna alle origini e realizza un film decisamente migliore, Tutto il mio folle amore. Tratto dall’omonimo romanzo di Fulvio Ervas, ispirato a una storia vera, racconta le vicende di Willy (Claudio Santamaria), cantante squattrinato che decide di incontrare il figlio biologico Vincent (l’esordiente Giulio Pranno), affetto da autismo e dal quale era fuggito anni prima. Quando Vincent si intrufola nell’auto di Willy per seguirlo nei suoi viaggi, inizia l’inseguimento da parte della madre Elena (Valeria Golino) e del compagno di lei Mario (Diego Abatantuono), mentre padre e figlio si ritroveranno a legare nel corso della folle avventura.

Il rischio di dare vita ad un melenso racconto di affetti era molto elevato, considerando il materiale di partenza. Salvatores tuttavia non cade nella trappola e confeziona una storia che funziona sotto ogni punto di vista. Il clima generale oscilla in totale controllo tra commedia e dramma, creando una narrazione coerente e scorrevole, in grado di catturare fino alla fine. Ogni elemento del film è al servizio di quest’atmosfera, a cominciare dagli interpreti, tutti efficacissimi nei loro ruoli. Pranno spicca particolarmente nel suo riuscire a dipingere l’autismo ad una così giovane età, ma anche l’accomodante Santamaria, la preoccupata Golino e il rassicurante Abatantuono si inseriscono alla perfezione nell’insieme.

Il respiro internazionale che da sempre contraddistingue Salvatores si avverte anche in Tutto il mio folle amore. Questa volta ad essere esplorato è il territorio balcanico, in particolare Slovenia e Croazia. Tra folklore, cupezza e momenti di coscienza sociale forse un po’ troppo approssimativi, emerge un ambiente che risulta la cornice ideale per il viaggio dei quattro personaggi principali. Del resto, il racconto di formazione si sviluppa al suo meglio proprio in seguito agli scontri con situazioni sfavorevoli.

Nessuno dei protagonisti ha una connotazione davvero negativa, al di là delle azioni che essi compiono. Vincent, nella sua condizione, è quasi del tutto innocente; Willy vuole rimediare agli errori del passato, ma soprattutto conoscere il ragazzo; Elena è spinta dall’amore per suo figlio; Mario non si abbandona all’intransigenza, cercando di essere ragionevole in ogni circostanza. L’umanità di fondo del gruppo di protagonisti non sfocia comunque in buonismi eccessivi, come dimostra chiaramente l’agrodolce finale. Il miglior Salvatores è tornato in circolazione.

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