L’influenza di una figura come quella di Stan Lee nel mondo del fumetto seriale è indiscutibile. Negli anni Sessanta del Novecento contribuì a creare, assieme a disegnatori leggendari quali Jack Kirby e Steve Ditko, personaggi ormai iconici che resero la Marvel Comics una casa editrice di prim’ordine. Il modo stesso di strutturare storie e caratterizzare personaggi nel fumetto americano cambiò radicalmente, in quella che è nota come la Silver Age dei comics, successiva alla Golden Age che introdusse i supereroi nell’immaginario comune.

Come chiunque viva negli anni recenti potrà realizzare, l’influenza di Lee è però andata oltre il fumetto. Il ventunesimo secolo ha infatti visto la conquista quasi totale del cinema hollywoodiano da parte dei supereroi, molti dei quali creati dall’autore americano. L’Uomo Ragno e gli X-Men, tra i suoi personaggi più famosi, aprirono lo scorso decennio con i relativi adattamenti cinematografici, che ottennero un successo enorme al botteghino e spianarono la strada a vari altri film più o meno amati dal pubblico. Un’esplosione ancora più grande tuttavia sarebbe arrivata solo alcuni anni dopo, con l’avvio del Marvel Cinematic Universe (MCU) da parte dei Marvel Studios: un mondo interconnesso abitato da numerosissimi supereroi, ognuno con la propria storia e all’occorrenza tutti uniti in colossali crossover.

Sono passati ormai quasi due mesi dalla morte di Stan Lee, un tempo durante il quale si è detto di tutto e di più, sia in positivo che in negativo. Come succede in seguito alla morte di qualunque personaggio pubblico, la rete si è infatti attivata per scovare ogni controversia e macchia sul curriculum dell’autore, cominciando col mettere in dubbio la paternità dei personaggi di quest’ultimo. Non è questa tuttavia la sede per trattare un argomento simile, sia perché esulerebbe dalle tematiche abituali della nostra pubblicazione, sia perché le radici dello stesso argomento sono saldamente piantate nel passato. È più opportuno focalizzarsi su ciò che Lee ha significato per il mondo del cinema che stiamo attualmente vivendo.

MARVEL STUDIOS: LA NASCITA DI UNA SUPERPOTENZA

Illustrazione realizzata dalla nostra Anna Mabi. Un suo omaggio al grande Stan Lee

Prima del 2000, il modo di rappresentare i supereroi al cinema era senz’altro lontanissimo da quello contemporaneo. Evitando di chiamare in causa i serial cinematografici degli anni Quaranta e il Batman del 1966, che ebbero un successo troppo moderato per lasciare un segno duraturo, il primo vero blockbuster supereroistico fu il Superman di Richard Donner del 1978. Erede della tradizione delle pellicole precedenti, caratterizzate dalla leggerezza con la quale affrontavano le proprie storie, Superman diede il via all’omonima serie di film, seguito undici anni dopo dal Batman di Tim Burton, anch’esso apripista della propria. Nei poco più di vent’anni che vanno da Superman al primo X-Men di Bryan Singer (2000) i film di supereroi erano sporadici e decisamente sopra le righe a livello di narrazione e messa in scena, a parte rare eccezioni.

X-Men e il primo Spider-Man di Sam Raimi (2002) permisero al cinema supereroistico di evolvere sia sotto il punto di vista della forma che sotto quello più meramente commerciale: il primo riuscì nell’impresa di costruire attorno al film di supereroi una dimensione di maggiore  serietà e allo stesso tempo attirare numerosi spettatori in sala, mentre il secondo ottenne un successo straordinario consolidando i cinefumetti come prodotti dall’elevatissimo potenziale in termini di incassi. Un aspetto che può però passare in secondo piano per chi non conosca il mondo supereroistico è il cambio radicale della fonte letteraria alla quale attingere per realizzare cinecomics. I maggiori successi ispirati ai fumetti di supereroi fino a quel momento erano infatti basati su personaggi della DC Comics, storica rivale della Marvel e artefice principale della Golden Age fumettistica. I film di Singer e Raimi spostarono invece l’attenzione del pubblico sui personaggi Marvel, ponendo le basi per l’esplosione che sarebbe avvenuta di lì a pochi anni.

Nel 2008 avvenne il passo successivo, quando la dimensione di serialità intricata tipica dei comics iniziò ad essere applicata anche alle saghe cinematografiche. In quell’anno Iron Man di Jon Favreau inaugurò la nascita del MCU e del suo mondo vastissimo, esteso in una dimensione che copre cinema, televisione, fumetti e web. Questo franchise, attualmente il più redditizio della storia del cinema con oltre 17 miliardi di dollari di incassi, non poteva non generare imitazioni da parte degli altri grandi studios. La Warner Bros., proprietaria dei diritti di tutti i supereroi targati DC, dal 2013 porta avanti il proprio universo filmico condiviso che include gli storici Superman, Batman e Wonder Woman, insieme a molti altri. Anche Sony e Fox hanno iniziato a ragionare con la stessa logica usando le proprietà intellettuali in proprio possesso; ma alla fine entrambe sono dovute scendere a patti, più o meno paritariamente, con la ben più potente Marvel e la sua società madre, il colosso Disney.

LA NUOVA TENDENZA DELLA NARRAZIONE ESTESA

Il marchio di Stan Lee, artefice indiretto di questa enorme ondata di successi, è stato reso evidente nella stessa narrazione interna dei film Marvel. Uno degli aspetti per il quale è più noto l’autore americano dopo gli anni Novanta, durante i quali cessò di lavorare attivamente per la casa editrice, è infatti l’interminabile lista di camei negli adattamenti dei fumetti da questa pubblicati. Lee è infatti apparso in decine di film ed episodi televisivi targati Marvel, molti dei quali riguardanti personaggi che non ha nemmeno contribuito a creare. Non c’è tuttavia nulla di anormale in questo; la fama del fumettista e l’impatto che egli ha avuto sul mondo dei comics sono tali da averlo reso una vera e propria mascotte della casa editrice con la quale ha raggiunto la celebrità. Da questo punto di vista Stan Lee per Marvel è in pratica quel che Topolino è per Disney.

Il paragone non è affatto casuale. La Marvel è infatti di proprietà della Walt Disney Company dal 2009, ed è proprio da quel momento che il processo di crescita del MCU è entrato nella piena attività. Il modello di universo condiviso che la società ha portato alla ribalta è stato adottato per realizzare non solo cinefumetti ma anche altri tipi di blockbuster, come i film di mostri del Dark Universe (Universal) o del MonsterVerse (Legendary/Warner). Per quanto un simile modello permetta maggiori probabilità di sbancare al box office, risulta inevitabile che una simile dilatazione della macrotrama generi squilibri narrativi in diversi film nati da questo processo. Un Captain America: Civil War o un Avengers: Infinity War risultano quasi incomprensibili a chiunque non abbia ottenuto l’infarinatura necessaria sulla continuity guardando i film precedenti. Anche il livello stilistico e la caratterizzazione dei personaggi finiscono con l’essere compromessi da una struttura simile, che standardizza e sfronda ovunque sia necessario.

Come i personaggi di Lee hanno cambiato il mondo dei fumetti di supereroi e il modo di affrontarne la narrazione, così i film tratti dalle sue opere hanno fatto lo stesso per il mondo dei cinecomics. I successi targati Marvel sono ormai diverse decine, in una situazione che rispecchia in ogni senso quella che il fumetto americano ha vissuto durante gli anni Sessanta dello scorso secolo, quando la popolarità della Marvel Comics esplose a livello mondiale. Non si può però tralasciare il cambiamento, molto più profondo, che ha subito il modo stesso di realizzare film ad alto budget a Hollywood. Viviamo un periodo nel quale i concetti narrativi tipici del fumetto seriale americano sono applicati al blockbuster in maniera più stretta che mai, e questo non è necessariamente un bene.  Morando Morandini, nella sua recensione di Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza, scrisse: “Guerre stellari è uno dei film che più hanno influenzato l’industria dello spettacolo cinematografico, sebbene sia legittimo domandarsi se sia stata un’influenza positiva o negativa“. Un discorso che non si discosta poi tanto da quello che si potrebbe svolgere sull’influenza, seppur del tutto indiretta, che Stan Lee ha avuto sull’attuale cinema mainstream statunitense.

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