The Other Side Of The Wind è la cronaca dell’ultimo giorno di vita di Jake Hannaford (John Huston), grande regista esiliato in Europa e ora tornato per dirigere il suo nuovo atteso capolavoro, The Other Side Of The Wind, la cui produzione è bloccata da mancanza di fondi e abbandono del suo attore protagonista. Titanico artista, tanto amato quanto temuto, Hannaford sente ormai di essere stato superato dai suoi discepoli, tra cui l’amico e regista Brooks Otterlake (Peter Bogdanovic), autodefinitosi apostolo; sente di essere un Dio circondato da critici e fanatici ma in balia del caos. Durante il suo settantesimo compleanno, Hannaford affronta per l’ultima volta i suoi fantasmi e i suoi fallimenti prima di accettare la morte della sua immagine.

The Other Side Of The Wind è il tentativo di portare a termine una nuova opera da parte di Orson Welles, grande regista esiliato in Europa, tornato nel 1975 ad Hollywood per dirigere il suo nuovo atteso capolavoro, The Other Side Of The Wind. Film la cui produzione, partita nel 1970, si blocca nel 1985  dopo numerosi problemi logistici e legali, mancanza cronica di fondi, quasi 100 ore di girato, numerose annotazioni e un premontato di circa 40 minuti. Artista monumentale, larger than life come i suoi personaggi più famosi, Welles sente ormai di essere ai titoli di coda della sua carriera, superato da artisti più giovani come il suo amico Peter Bogdanovic o gli autori italiani e francesi; sente di essere una divinità non più considerata, in balia dell’inevitabile. Durante le riprese del suo ultimo film, circondato da amici, attori e registi che si mettono in gioco davanti alla macchina da presa, Welles affronta, senza riuscire a finirlo, un’opera su un regista che non riesce a finire la sua opera, e accettare la morte del suo cinema e del suo corpo.

The Other Side Of The Wind è il film, ottenuto dopo decenni di sforzi, che conclude quanto iniziato da Orson Welles e Jake Hannaford quasi 40 anni fa, rimontato da Otterlake e Bogdanovic,  insieme al produttore Frank Marshall, la compagna e la figlia di Welles, distribuito da Netflix in tutto il mondo, non al cinema ma online.

Is the camera eye the reflection of reality? Or is reality a reflection of the camera eye?

Or is the camera merely a phallus??

Riuscire a districare i temi di questo film, da anni ritenuto irrecuperabile, è difficile: gli elementi in se sono quelli tipici del cinema di Orson Welles, dal personaggio ego-mostruoso di chiara ispirazione shakesperiana (Macbeth, Otello) che divora tutto e tutti nel tentativo di riempire una mancanza affettiva e psicologica (Citizen Kane), passando per il registro grottesco (Rapporto Confidenziale) e la riflessione sul rapporto tra verità e falsità attraverso il linguaggio documentaristico (F come Falso) e il ruolo della donna, contemporaneamente oggetto del desiderio e cacciatrice (La Signora di Shangai).

Se i temi sono classici nella filmografia di Welles, ciò che rende il risultato finale affascinante, impegnativo e lisergico è la sua struttura tridimensionale. Come un oggetto che, se posizionato in mezzo a due specchi, vede la sua immagine replicata all’infinito, ogni tematica di The Other Side Of The Wind rimbalza tra i differenti mise en abyme ricreati da Welles, gonfiandosi ad ogni rimbalzo. La combinazione di tutti questi continui rispecchiarsi tra realtà e finzione producono un caos che si alimenta ad ogni battuta, ogni tematica divora e allo stesso tempo alimenta quella contigua, come se il film riuscisse a sovvertire i principi della termodinamica.

A mystery may reveal. It never explains. (Attenzione: da questo punto, è ALLERTA SPOILER)

I protagonisti, il film stesso, tutti sono in preda a un caos che non fa che distruggere maschere ma nascondere volti. Girato improvvisando giorno per giorno, con migliaia di macchine da presa differenti, il film è un montaggio di punti di di vista, a colori o in bianco e nero, di differenti formati. Come in Citizen Kane la realtà è stata deframmentata: l’eccesso di visuali diversificate riempe il tessuto narrativo fino a oscurare la possibilità di comprensione, l’insieme di più verità non può che causare un conflitto di idee (in poche parole, quello che stiamo vivendo oggi con l’era di internet e le fake news). Come in una versione funebre di 8 e ½, tutti i personaggi inventati o reali sono attirati verso il loro Creatore, un buco nero che divora la loro luce mentre riempie la bocca di alcol e dialoghi criptici quanto ironici; The Other Side Of The Wind sarebbe pura cacofonia se non fosse per gli intervalli in qui vediamo proiettato The Other Side Of The Wind, il film nel film. Film muto e d’azione (come i primi lavori di Hannaford) fortemente influenzato dalla controcultura degli anni Sessanta, a una prima occhiata potrebbe sembrare una satira, o palese parodia, di Zabriskie Point di Antonioni; in realtà è l’ennesimo specchio su cui il film si riflette per esplorare i propri concetti. Una pellicola dentro la pellicola, intrisa di colori acidi ed erotismo, ad altissimi livelli, incarnato da Oja Kodar, compagna di Welles e qui nuda, nudissima, rappresentazione umana di una divinità superiore al Dio/Hannaford. Sensualità panica quella di Kodar, bagnata dalla pioggia o mossa dal vento del deserto, che prova a strappare con le forbici il machismo del protagonista John Dale, che passa da predatore a preda filmica e reale a causa della sua impotenza.

Can you imagine a relationship more all-consuming between master and slave?

Tutto The Other Side Of The Wind è permeato di una omosessualità evidente nei suoi silenzi, che pesa costantemente sul rapporto tra maestro e discepolo, tra una forza originale e le sue copie. Hannaford/Dale, Hannaford/Otterlake, il rapporto tra Hannaford e colei che ha realizzato la festa e invitato i giornalisti, Zarah Valeska… Per Welles, ogni Creatore finisce per essere tradito dalla sua creatura, solo gli uomini capiscono le debolezze degli uomini e le donne sono l’elemento disturbante perché vitale nell’essere mutevole, come il vento. Il machismo è una maschera che non può essere tolta, pena il crollo del proprio mondo, come nella scena in cui Hannaford costringe il professore a spogliarsi davanti a tutti, punendolo per il suo moralismo.

La tensione sessuale, per Welles, è anche tra la macchina da presa, la “scatola magica”, e ciò che viene filmato: la bellezza viene consumata dal cinema fino a ucciderla, nel finale, tra Eros e Tanatos, di The Other Side Of The Wind. Questo pensiero è espresso con il finale del film di Hannaford, proiettato in un drive-in vuoto, in cui l’era dell’uomo è ormai impotente e finita di fronte a una donna nuda, alla Divinità dal cui grembo materno tutti noi proveniamo: “right back where we started. Back to Mama”.

Is that what this movie is about?

E’ bello pensare a questo film come a una scommessa che Orson Welles ha fatto con la morte: come San Paolo ha creato il cristianesimo dopo la morte di Gesù, così qualcuno completerà la sua magnus opus dopo che sarà morto.

Al netto di una seconda parte che perde in ritmo prima del valzer finale, e di una complessità respingente per un pubblico generale, The Other Side Of The Wind si mostra dopo quarant’anni come un film che mostra i segni del suo tempo e al tempo stesso profetico, un’opera stratificata e probabilmente lontana negli esiti da quanto aveva in mente Orson Welles, ma che rispetta il suo stile, il suo desiderio di essere sempre straordinario e colossale.

La miglior imitazione di un (possibile?) capolavoro che potessimo sperare di avere.

Stiven Zaka

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