L’ondata di remake che nell’ultima ventina d’anni ha investito l’industria del cinema hollywoodiano si è fatta sentire di nuovo, e ad esserne colpito questa volta è stato il celebre Papillon (1973) di Franklin J. Schaffner, tratto dal romanzo autobiografico di Henri Charrière e interpretato da Steve McQueen e Dustin Hoffman. Diretto da Michael Noer, il remake presenta come attori protagonisti Charlie Hunnam e Rami Malek, noti al cinema ma soprattutto in televisione (rispettivamente per le serie televisive Sons of Anarchy e Mr. Robot). Proprio come nell’originale, la storia si svolge negli anni Trenta del Novecento e segue le imprese di Charrière (Hunnam), incastrato e condannato all’ergastolo per un crimine non commesso, nella colonia penale dell’Isola del Diavolo. Qui l’uomo conoscerà il falsario Louis Dega (Malek) e i due inizieranno ad escogitare un piano di fuga, mentre la loro amicizia si svilupperà mese dopo mese e anno dopo anno.

Le vicende raccontate nel romanzo di Charrière, grazie anche al film di Schaffner, sono diventate così iconiche da poter funzionare benissimo anche al giorno d’oggi. Il nuovo Papillon non è infatti un film sgradevole o mal realizzato: la tensione è palpabile, l’empatia per i personaggi è quasi immediata e in generale la messa in scena risulta efficace. Le interpretazioni di Hunnam e Malek calzano a pennello con l’atmosfera che traspare dalla pellicola. Senza fare troppi giri di parole, è un film d’intrattenimento che svolge perfettamente il suo lavoro.

Il problema del film nasce proprio dal fatto che è un remake. Nel realizzare un remake degno di nota, si dovrebbe in teoria cercare di dargli una nuova forma estetica, in modo che il film non si limiti soltanto ad essere una versione “aggiornata” del precedente, ma possa emergere come opera memorabile a propria volta. Quel che fa il regista Noer consiste essenzialmente nello svecchiare la regia del film, rendendola più dinamica rispetto a quella del predecessore e calcando la mano su un tono più dark che risulti quindi più appetibile al pubblico contemporaneo. Anche piccole parti di sceneggiatura del primo Papillon vengono modificate: ad esempio, il remake presenta una sequenza iniziale che mostra la vita di Charrière prima del carcere, compreso il misfatto per il quale fu incastrato. Lo stesso finale include una sequenza non presente nel film di Schaffner, anche questa incentrata su Charrière.

Al di là di queste sottigliezze però, il nuovo Papillon non offre nulla di veramente nuovo al pubblico; averlo visto dopo il film originale porterà inevitabilmente a fare un confronto in negativo. C’è davvero poco da aggiungere sull’argomento, proprio per la pochezza delle novità proposte dalla storia di cui si sta parlando. In definitiva, il Papillon di Noer è un buon film che mostra il suo massimo valore solo se fruito da uno spettatore che non abbia mai visto il Papillon di Schaffner. Nell’intenzione degli autori, espressa chiaramente dai trailer, vi era l’idea di riproporre al pubblico odierno “il film che ha segnato una generazione”; data la scarsa memorabilità che il nuovo film mostra, quel che ci ritroviamo davanti finisce per essere solo un’altra occasione mancata.

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