Alcuni pesci vagano intrappolati sotto la lastra di ghiaccio di un lago. Al di sopra di essa la piccola Thelma (Eili Harboe) li fissa. Un istante dopo la macchina da presa scavalca il pavimento di ghiaccio e mostra la protagonista dal punto di vista dei pesci: la vera prigioniera nella sua sagoma opaca.
Si apre così, nelle sconfinate e glaciali distese norvegesi, la storia di liberazione e redenzione d’amore di Thelma dalle reclusioni mentali erette come fortezze dal fondamentalismo cristiano della famiglia. Trasferitasi ad Oslo per studiare Biologia all’università, Thelma, ragazza timida e timorosa, inizia ad assaporare le piccole gioie dell’indipendenza e della crescita, fra tutte l’irresistibile forza attrattiva del desiderio, quello che cresce sempre più intensamente nei confronti di un’altra studentessa, Anja (Kaya Wilkins), giunta in suo soccorso durante un improvviso attacco epilettico. Le crisi convulsive di Thelma si infittiscono al crescere del legame emotivo tra le due. Scavare nella propria psiche per comprendere, e soprattutto accettare, la causa delle crisi sarà per Thelma un viaggio regressivo alla scoperta di sconcertanti verità su se stessa, sulla sua infanzia e sulle fondamenta marce su cui è stata costruita la “fortezza paterna”, percorso catartico verso una demolizione delle opprimenti gabbie di essa.

Thelma è il quarto lungometraggio del norvegese Joachim Trier, un thriller psicologico-soprannaturale capace di evocare in modo armonico e originale sia il cinema d’autore di Bergman e Hitchcock sia i conflitti archetipici dei miti greci: la famiglia come nucleo potenzialmente mortifero, lo scontro tra un padre e una figlia, figure femminili di grande complessità drammatica. Come un’eroina tragica, Thelma è afflitta tra dover fare ciò che le è stato imposto (la “legge del Padre”) e ciò che profondamente vuole (la “legge dell’individuo”). Ma la sua energia interiore – un potere straordinario che cova dentro di sé, cui è incapace di opporre resistenza – la trascina fatalmente verso il principio di piacere a cui tutti tendiamo, la pulsione magnetica della soddisfazione del desiderio, nella faticosa e sofferente accettazione di un destino, proprio e autodeterminato, diverso da quello imposto. Il confine tra amore e morte si assottiglia, e più la mente della ragazza cerca di allontanare i “pensieri impuri” su Anja, più il corpo reagisce fisicamente – sotto forma di perturbanti crisi psicogene (auto)distruttive – per cercare di dar sfogo alle represse tensioni sessuali. L’angoscia di Thelma è angoscia del desiderare che oscilla tra volere e temere di volerlo.
Repulsione mortale e attrazione vitale sono le forze (sopran)naturali che determinano l’agire della protagonista in quello che è, in definitiva, un racconto di formazione, di esperienza ed esplorazione del mondo e dell’altro verso la scoperta di sé, che trascende con maestria l’ordinario. E ciò è ottenuto grazie ad un uso elegante del soprannaturale che si manifesta anche in una raffinata e inquietante regia “di cristallo”, fatta di panoramiche simmetriche e gelide della selvaggia natura norvegese (contrapposta all’ultramodernità di Oslo), di una delicata macchina da presa che striscia sui corpi e di conturbanti “effetti Vertigo” focali, volti a intensificare determinati passaggi narrativi ed emotivi della vicenda. La natura incontaminata viene così caratterizzata, resa pericolosa, come fosse anch’essa un personaggio capace di trasmettere energia e personificare tensioni drammatiche.
Nell’ancestrale scontro tra natura e cultura, caos e controllo, Thelma, fragile e potente allo stesso tempo, subisce e reagisce nuotando in apnea alla ricerca della sua strada.

«Ho avuto paura. La porta si è dischiusa, ma il Dio che è entrato era solo un ragno. Si è avvicinato a me e io l’ho visto in faccia: un viso ripugnante e gelido».
Con queste parole Karin, la protagonista di Come in uno specchio (1961) di Bergman, giungeva al culmine del suo delirio mentale/crisi di fede. Come Karin, Thelma è preda di allucinazioni e dà corpo animale alle sue crepe spirituali, l’una un ragno e l’altra un serpente, tentazione peccaminosa che cerca continuamente di insinuarsi nel suo corpo. Thelma è anche un percorso liberatorio che cerca di destrutturare le arcaiche paure instillate dalle credenze religiose, talvolta radicate nella coscienza individuale fino al controllo di essa. Per l’educazione con cui è stata cresciuta, la cosiddetta “educazione del senso di colpa da espiare”, Thelma è “eretica” perché creatura erotica, così come in antichità le donne affette da crisi convulsive venivano stigmatizzate come streghe sulla base di superstizioni; per molto tempo infatti la medicina non è riuscita a spiegare l’epilessia, definendola “morbo sacro” a causa di quello stato di estasi, fuoriuscita da sé, che provoca. Da un lato l’indottrinamento religioso, dall’altro la sedazione farmacologica, metodi usati in diverse epoche per manipolare gli spazi reconditi della psiche umana, lì dove né un Dio punitore può arrivare né Scienza sanare perché dominio dell’oscura volontà d’amore.

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