A quant’anni dalla Legge Basaglia che ha sancito la chiusura dei manicomi, Paolo Sassanelli approda al cinema con il suo primo lungometraggio, Due piccoli italiani. Durante l’anteprima presso Villa Borghese, Sassanelli ha parlato del suo film e delle motivazioni che lo hanno spinto a trattare questo tema. «Dopo i cortometraggi [ndr. Uerra (2009) e Ammore (2013)] fare un lungometraggio è diventata un’ossessione. Lo spunto per questo film è nato trent’anni fa da un testo teatrale che avevo scritto ma, il tema mi appartiene fin dall’infanzia» ha affermato l’attore Paolo Sassanelli, noto al grande pubblico per i suoi ruoli televisivi in Un medico in famiglia (1998 – in corso) e in L’Ispettore Coliandro (2006 – in corso). E questa appartenenza, questo legame con la tematica della malattia mentale ma, ancora più in là, con i pensieri che in qualche modo rinchiudono l’essere umano in se stesso, è ben presente in Due piccoli italiani.

Felice (Paolo Sassanelli) e Salvatore (Francesco Colella) scappano da una clinica psichiatrica pugliese. Per una serie di strani eventi si ritroveranno dirottati in Olanda, dove incontreranno l’esplosiva Anke (Rian Gerritsen), una donna vitale che si unirà al gruppo nella ricerca della loro identità. Tra risate e momenti di profonda riflessione, questo trio scoprirà sempre di più il profondo significato dell’amicizia e della famiglia.

Inutile sottolineare che la tematica di fondo ha portato ad associare questo film con La Pazza Gioia di Paolo Virzì. Come in quel caso, anche in Due piccoli italiani, i corrispettivi maschili di Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, scappano da una situazione di reclusione per andare alla ricerca di risposte. La differenza sostanziale tra le due pellicole è nella meta. Se nel film di Virzì, le due ragazze avevano ben chiaro il loro punto di arrivo e i motivi della loro reclusione, in questo film questo concetto non è così limpido. Lo stesso Salvatore, che avrebbe dovuto aiutare Felice, ha in realtà una personalità problematica che verrà sempre più a galla durante gli eventi. Sono solo i sentimenti o, come afferma Sassanelli nelle note di regia, «la possibilità di misurarsi con la vita, con i loro problemi, con il loro disagio, con il loro passato» a dare un senso a tutto il viaggio e alla fuga.

Il plauso principale per la pellicola va sicuramente alla scenografia. Nonostante Due Piccoli Italiani sia stato girato in tre paesi (Italia, Olanda e Islanda) e abbia presentato dialoghi in ben quattro lingue (italiano, inglese, olandese e tedesco), gli interni olandesi sono stati girati in Italia, a causa degli scarsi fondi economici. In questa situazione, lo scenografo Daniele Frabetti si è dimostrato un vero maestro, riuscendo a ricostruire non solo gli spazi interni ma, anche gli esterni, come il quartiere a luci rosse di Rotterdam. In questa impresa, è stato aiutato anche dal direttore della fotografia, Federico Annicchiarico, che ha accompagnato le sue scelte con una luce adeguata ad ogni Paese.

«Questo è stato un cinema in salita» ha confermato Paolo Sassanelli «perché avevamo pochi mezzi a disposizione ma, sono stato fortunato. Ho incontrato esseri umani disposti a girare con me in tre Paesi europei e ho realizzato, come lo ha definito una mia amica, una favola». E, infatti, il viaggio di Felice e Salvatore è stato proprio una favola che, per una combinazione di eventi che a tratti può essere sembrata forzata, ha spinto gli eroi verso la salvezza di loro stessi.

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