Si è appena conclusa la seconda stagione di Tredici (13 Reasons Why), la serie che narra i motivi del suicidio di Hannah Baker e che, nel momento della sua uscita, ha diviso la critica e ha scatenato numerose polemiche in ogni parte del mondo. Affrontando, come nella prima stagione, le tematiche del suicidio, dell’omosessualità, della violenza sessuale e del bullismo tra adolescenti, la seconda stagione di Tredici si pone come un ponte, una connessione, tra la prima e la terza stagione, una futura produzione che potrebbe essere molto lontana dai fatti precedentemente narrati. Infatti, nonostante la presenza degli stessi protagonisti e quindi le infinite possibilità di espansione della narrazione, la seconda stagione ha scelto, sia di scavare ancora più affondo nel passato di Hannah Baker, stravolgendo quanto si era già visto, sia di ampliare lo spazio dei suoi satelliti, presentando in modi diversi ciascun personaggio, con i suoi pregi e difetti.

Dopo la tragica morte di Hannah Baker (Katherine Langford) e la diffusione delle cassette anche ai suoi familiari, Olivia Baker (Kate Walsh), la madre di Hannah, avvia una causa contro la Liberty High, accusandola di non aver protetto la figlia dagli episodi di bullismo che avvenivano quotidianamente nella scuola. Come nella prima stagione, ogni puntata è character-centric, quindi, è dedicata a un singolo personaggio che in quel momento è seduto tra gli impuntati. Mentre si susseguono le loro dichiarazioni, Clay Jensen (Dylan Minnete) inizia a ricevere delle polaroid in cui vengono mostrati gli abusi di Bryce su diverse ragazze, vede e parla con il fantasma di Hannah e inizia una lenta battaglia per portare la verità a galla. Accanto a lui, i vecchi protagonisti delle cassette cominceranno a fare i conti con le loro situazioni ma, soprattutto, prenderanno atto che l’unione fa la forza e che l’omertà non è la strada migliore da intraprendere.

Come la prima stagione, anche questa seconda impresa ha scatenato forti polemiche. Superato l’impatto emotivo delle vicende che hanno causato il suicidio di Hannah, questa stagione ha portato avanti una sola domanda: “Perché?”. Perché andare avanti con la sua storia quando era già stato detto tutto? Perché continuare a scavare nel suo passato quando ormai è passato? E, al di là delle scelte meramente commerciali, questa seconda stagione potrebbe avere la risposta a quei perché, anche se a prima vista non sembrano chiari. Per rimanere quasi in linea con il titolo della serie, ci sono sia Reason Why Not, quindi soluzioni che non hanno funzionato, sia Reason Why che fanno di questa seconda stagione una buona prova.

Reasons Why Not. Uno dei principali errori di questa seconda stagione è stata sicuramente la volontà di utilizzare ancora il passato di Hannah Baker. Allontanandosi dalla singola opera letteraria di Jay Asher, da cui è tratta la prima stagione di 13 Reasons Why, la serie espande la storia di Hannah rendendola bipolare e con una vita confusa e meno in linea con quanto narrato nelle cassette. In particolare, le sue vicende con Zach risultano completamente fuori schema, così come quelle vissute con Courtney. Un altro errore è stato quello di voler dar spazio a tutti i personaggi, salvandone solo alcuni. Infatti, se per alcuni di loro c’è stata una notevole crescita, come per Tyler e Jessica, per altri c’è stata solo una presa di coscienza “a bocconcini”, dilatata in tredici puntate che hanno detto poco o niente su di loro. Un ultimo errore è stato il collegamento fra gli episodi. Se, nella prima stagione, le cassette creavano un filo conduttore crescente anche con l’impatto emotivo delle vicende, nella seconda stagione la disposizione degli episodi sembra casuale. Ogni storia è fine al suo personaggio ed è solo il contorno della vicenda a dare una logica alla scelta di ogni tassello.

Reasons Why. Questa stagione, come la prima, non disdegna richiami crudi alla realtà. Vengono esaminate ed espanse fino al limite le tematiche del bullismo, dello stupro e della violenza nelle scuole causando, soprattutto in alcune scene, una forte reazione da parte dello spettatore. Questo realismo è presente anche nella rappresentazione della società odierna, dove i maschi bianchi sono spesso considerati superiori agli altri e le vittime di violenza sono quelle che vengono spesso accusate di aver sbagliato alcuni atteggiamenti. In quest’ottica, quindi, la seconda stagione si conferma il prodotto provocatorio che è sempre stato e, anzi, pone l’accento su nuovi temi molto sentiti dalla comunità statunitense, come le sparatorie scolastiche. Un altro punto a favore della visione è la caratterizzazione dei personaggi. Se nella prima stagione di Tredici questi sono stati presentati con le parole di Hannah, nella seconda stagione si ha la possibilità di entrare nelle loro vite, di rivalutare alcuni protagonisti, di comprendere appieno le loro motivazioni e, in alcuni casi, di seguire il loro percorso di crescita, positivo o negativo. Infine, viene dato un maggiore spazio alle figure adulte, i genitori e i professori, ampliando e mostrando la fragilità dell’animo umano in diverse età, non solo in quelle adolescenziali.

Al di là delle scelte stilistiche, che possono essere più o meno coerenti con la prima stagione o possono apparire irrealistiche, questa seconda stagione di 13 Reasons Why dovrebbe essere vista se si vuole avere un quadro più ampio sulle vicende che hanno coinvolto Hannah Baker e sulle conseguenze delle sue azioni. Benché la serie pecchi nella volontà di ritoccare la sua storia, si ha egualmente la possibilità di vedere la crescita dei suoi compagni e di esplorare nuovi temi attuali, crudi e reali.

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata