Il ciclo del progresso

Qualche giorno fa si è svolta la 91° edizione degli Oscar, che verrà ricordata probabilmente per due motivi: l’assenza di un presentatore a traghettare gli ospiti durante la serata, e il trionfo di Netflix, che con Roma si è portata a casa ben 3 statuette (Miglior Film Straniero, Miglior Regia e Miglior Fotografia). Un outcome che fino a l’anno scorso si pensava impossibile per una piattaforma di streaming.

Ma Roma non è il solo prodotto legato a Netflix ad aver ricevuto importanti riconoscimenti al Dolby Theatre, quest’anno: il premio per il Miglior Cortometraggio Documentario è andato, infatti, a Period. End of Sentence della regista americana di origini iraniane Rayka Zehtabchi, disponibile su Netflix Italia con il titolo Il ciclo del progresso. Il titolo originale del documentario è un gioco di parole, e fa leva sul doppio significato del termine “period” in lingua inglese: letteralmente “frase”, è usato anche per riferirsi al ciclo mestruale, quel “periodo”, appunto, che ogni 28 giorni costringe le donne a ricorrere ad assorbenti e antidolorifici.

Contro il tabù

Rayka Zehtabchi ci porta in un villaggio indiano poco lontano da New Delhi, dove le donne sono ancora molto limitate nella loro indipendenza. La società in cui vivono è rimasta legata a un ideale tradizionalista nel quale l’argomento mestruazioni rappresenta ancora un enorme tabù. L’accesso a dispositivi sanitari conformi alle norme di igiene è difficilissimo: alla mancanza di una cultura che insegni la corretta cura di sé in quei giorni delicati, si affianca il problema economico del costo troppo elevato degli assorbenti usa e getta.

Il ciclo del progresso racconta cosa succede quando nel villaggio viene installata una macchina che permetterà alle donne di auto-produrre assorbenti meno costosi e biodegradabili. Si innescherà un circolo virtuoso che aiuterà le donne a migliorare la loro condizione e a mettere in discussione lo status di stigma affibbiato alla questione delle mestruazioni.

In poche sanno davvero cosa accada al proprio corpo durante il ciclo; quel che è certo è che non possono entrare nel tempio e pregare come tutti gli altri, perché il sangue le rende “sporche”, indesiderabili. “Non importa con quanta forza tu preghi [le divinità]”, ci spiega una delle ragazze del villaggio, “nessuno ti ascolterà, in quei giorni”. Così le hanno detto sua nonna e sua madre, ed è questo che la sua cultura sancisce per le donne.

Resistenze culturali

Una delle ragazze del villaggio, Sneh, sta studiando per diventare poliziotta. Nel suo sorriso si intravede la voglia di sfidare l’ordine delle cose, di spiccare il volo e liberare tutte le sue potenzialità. È lei la prima a dirci che no, non le sembra giusto impedire alle donne di pregare al tempio durante il ciclo mestruale. “La dea che preghiamo ogni giorno è donna, come noi”.

Un’altra donna racconta che ha dovuto smettere di andare a scuola molto presto, a causa del ciclo mestruale: non poteva cambiare il panno di stoffa che usava senza che la vedesse qualcuno. In assenza di una cultura che normalizzi il fenomeno e lo integri all’interno della quotidianità, avere il ciclo diventa motivo di vergogna.

Oltre la questione prettamente culturale, è il fattore igienico a destare le maggiori preoccupazioni. Quasi nessuna donna della zona ha mai usato un assorbente usa e getta. Sono troppo costosi, perciò, quando si inizia a sanguinare, ci si arrangia con il primo pezzo di stoffa che si trova, esponendosi al rischio di infezioni pericolose.

Oltre l’Oscar: un progetto ambizioso

La nuova macchina arriva come fonte di guadagno per la comunità, creando posti di lavoro. Ma soprattutto arriva come strumento di riscatto per le donne del villaggio, rispondendo ad una necessità pratica, certo, ma anche simbolica: la necessità di una maggiore indipendenza. E questa non può che passare per il riacquisto del controllo sul proprio corpo.

Nato dal progetto di un gruppo di ragazze di una scuola superiore californiana, è solo il primo passo di un percorso ben più ambizioso, che vuole diffondere il modello produttivo in molte altre comunità. Il ciclo del progresso è uno sguardo importante sulle potenzialità che si nascondono dietro a nodi culturali complessi. Il cortometraggio vibra dell’eccitazione di queste donne, all’opera per creare qualcosa che cambierà per sempre la loro vita di tutti i giorni.

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