Il regista afroamericano rilegge l’epica del conflitto in Vietnam con un occhio più orientato verso l’attualità che non alla ricostruzione storica del periodo.

Dopo il successo mondiale di BlaKKKlansman torna Spike Lee in una nuova collaborazione con la piattaforma Netflix (dopo la serie tv She’s Gotta Have It).

Questa volta il regista di Brooklyn si cimenta con una tematica tra le più abusate dalla cinematografia americana: la Guerra del Vietnam. Tale conflitto, infatti, fu un vero e proprio trauma che intaccò per sempre l’immagine delle forze armate USA in patria e all’estero.

Il film di Spike Lee decide di rivisitare tale mitologia dal punto di vista che gli è più congeniale: quello dei soldati afroamericani, che più di tutti vennero impegnati nel conflitto andando incontro ai pericoli maggiori. La pellicola è una scusa per ripescare alcune storie minori che altrimenti passerebbero in secondo piano per il pubblico più mainstream (soprattutto se questo non è afro-americano) come quelle di Milton Olive e Crispus Attucks, restituendogli quindi una dignità storica e soprattutto cinematografica.

Ma il film rivela ben presto anche un altro scopo oltre a quello documentaristico e storicistico. La storia è quella di Paul (Delroy Lindo), Otis (Clarke Peters), Eddie (Norm Lewis) e Melvin (Isiah Whitlock Jr.) quattro amici ex-veterani che si ritrovano dopo anni per compiere un’impresa particolare: tornare in Vietnam per recuperare il corpo del loro caposquadra Norman “Tornado” Holloway (Chadwick Boseman, il Black Panther del MCU), morto tragicamente durante la guerra, il cui corpo non è mai stato ritrovato. Ma il viaggio, in realtà, nasconde un ulteriore obiettivo: ritrovare una cassa di lingotti d’oro che il governo USA aveva mandato al governo del Vietnam del Sud per finanziare la lotta contro i Viet-Cong. I quattro vogliono invece recuperare quell’oro (per difendere il quale il loro caposquadra era morto) e usarlo per finanziare la causa degli afro-americani in patria tramite le iniziative del movimento #BlackLivesMatter, come lo stesso Norman avrebbe voluto.
Al gruppo si aggiunge poi David (Jonathan Majors), il figlio di Paul, che approfitta del viaggio per cercare di riconciliarsi con il padre, con il quale non ha più un dialogo da tempo.

Il viaggio, dunque, diventa in realtà un modo per i cinque protagonisti di mettere un punto alle loro vite e fare i conti con i rispettivi fantasmi del passato e con l’eredità che la guerra ha lasciato loro. Un film corale in cui la costruzione e il percorso evolutivo dei personaggi principali è il punto di forza maggiore. È veramente difficile, infatti, non affezionarsi a questo gruppo di reduci, costruiti magnificamente con pregi e difetti ben calibrati fra loro. Soprattutto per il trash talking di cui ciascuno di loro è portatore sano.

Ma il viaggio è soprattutto un modo per riflettere sul mondo contemporaneo. A questo serve il confronto generazionale con il giovane David, che incarna i valori delle giovani generazioni afroamericane, più consapevoli dei propri diritti e maggiormente fiduciosi verso il “sistema” in cui vivono.

Risulta così evidente che la riflessione è soprattutto sull’oggi, sull’America trumpiana, descritta in maniera ironica e satirica, e messa direttamente a confronto con le pessime politiche che portarono alla disfatta degli USA nel conflitto. Non manca, inoltre, anche una certa critica alla rappresentazione stessa del conflitto da parte del mondo hollywoodiano, visto sempre in un’ottica machista e orgogliosamente caucasica (tutti i riferimenti alla saga di John Rambo sono decisamente voluti). A tal proposito Spike Lee non esita a citare, direttamente o indirettamente, proprio i capolavori del genere war movie che hanno trattato la guerra del Vietnam (Apocalypse Now su tutti) ma sempre in chiave decisamente canzonatoria e ironica.

Il regista riprende quindi i temi tipici della propria poetica, non risparmiando di fare nomi e cognomi e rivendicando orgogliosamente la propria posizione politica (la pellicola è tutt’altro che neutrale sull’argomento) tramite gli stilemi e gli archetipi della cultura afro-americana. Ecco quindi che la narrazione viene inframmezzata da filmati d’epoca, canzoni della motown anni 70 e fotografie che offrono una visione quasi documentaristica del Vietnam.
Il film, inoltre, sperimenta molto da questo punto di vista: le immagini in found footage sono riconoscibili dal diverso formato della pellicola (più stretto rispetto alle scene girate nel presente) a cui però si rifanno anche i continui flashback che mostrano il passato in guerra dei protagonisti, ricostruiti nello stesso identico formato. Il passato e il presente si fondono quindi fra loro e l’uno richiama costantemente l’altro in un dialogo continuo.

Il cast si avvale inoltre di nomi importanti del cinema francese (Mélanie Thierry e Jean Reno) e di attori vietnamiti restituendo così anche le differenze etniche e  geografiche protagoniste del conflitto. Interessante inoltre la scena della “dedica musicale” ai soldati neri da parte del personaggio di Hanoi Hannah (Ngo Than Van) che richiama alla mente una scena simile in Miracolo a Sant’Anna dello stesso Lee. Il riferimento non è certamente casuale poiché con questa pellicola Lee torna nuovamente all’idea di voler rinnovare il cinema di guerra dal punto di vista degli afroamericani, per cui le due pellicole possono essere viste come un ideale dittico a sé all’interno della filmografia del regista.

Per il resto la pellicola risalta soprattutto per la sua fotografia e per lo stile eclettico del montaggio (tipico comunque di tutte le opere del regista), ma è soprattutto una bella storia di amicizia che travalica i conflitti, le ideologie e la guerra stessa, con un forte messaggio finale di speranza e di fratellanza fra tutti i popoli del mondo.

Un film “politico” in tutti i sensi, che fa riflettere ma senza annoiare, anzi dimostrando una grande auto-ironia e un profondo senso del racconto epico. Finora la sorpresa migliore per quanto riguarda le uscite cinematografiche estive.
La pellicola è stata rilasciata da Netflix il 12 giugno 2020 ed è tutt’ora disponibile nel catalogo della piattaforma.

 

Locandina del film “Da 5 Bloods” di Spike Lee, dal 12 giugno in streaming sulla piattaforma Netflix.

 

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata