Dal regista di “Amy” un biopic documentario sul leggendario campione argentino tra luci e, soprattutto, ombre!

Il nome di Asif Kapadia non è certamente nuovo per il pubblico di aficionados del Biografilm Festival.
Il regista inglese, di origini indiane, è lo stesso autore di Amy, documentario-biopic (Premio Oscar 2016 come “Miglior Documentario”) incentrato sulla figura della cantante Amy Winehouse e presentato in anteprima proprio nell’edizione di quell’anno del Biografilm.
Evidentemente al regista l’accoglienza bolognese deve essere piaciuta se ha scelto l’edizione di quest’anno per presentare in anteprima la sua ultima fatica. E ancora una volta è una figura controversa del mondo dello show-business (perché in fondo anche il calcio rientra, per alcuni aspetti, in questo mondo) il soggetto scelto per rappresentare uno spaccato di vita eccezionale ma, allo stesso tempo, molto vicina empaticamente allo spettatore.

Diego Armando Maradona è una delle figure più controverse della storia del calcio (e dello sport in generale): soprannominato El Pibe De Oro, è considerato uno dei migliori (se non il migliore) calciatore di tutti i tempi, ma allo stesso tempo è passato alla storia anche (e soprattutto) per gli eccessi fuori e dentro il campo e per i suoi guai giudiziari.

Il documentario mostra molto bene questa “schizofrenia” del personaggio, esemplificata dalle parole del suo storico preparatore atletico Fernando Signorini che spiega bene come “in lui convivevano due personalità distinte”: da una parte Diego, il ragazzo umile e gentile nato a Villa Fiorita, uno dei quartieri più poveri di Lanùs, cittadina a pochi kilometri da Buenos Aires; dall’altra Maradona, il fenomeno, la “star” con tutti i suoi numerosi eccessi e vizi.
Su questa dualità si gioca, fin dal titolo, tutta la pellicola raccontando l’ascesa e la caduta del Pibe De Oro.

Il documentario si concentra in particolare negli anni che vedono Maradona in forza al Napoli (quindi dal 1984 al 1991), che sono per l’appunto il momento di massimo splendore per il giocatore e, allo stesso tempo, l’inizio di quei problemi di tossicodipendenza che l’accompagneranno per tutta la vita.
Una lunga sequenza d’apertura con un corteo di auto annuncia infatti l’acquisizione del giovane Maradona (all’epoca già campione in Argentina e star del Barcellona) alla società partenopea, all’epoca uno dei più straordinari colpi di mercato della Serie A (per una squadra che, all’epoca, era ad un passo dalla retrocessione in B!). Fin da subito quindi viene fuori tutto l’afflato epico che accompagna la figura di Maradona. La star venuta da lontano che arriva come un “salvatore” per una delle squadre più povere del campionato (in una città che è, all’epoca, tra le più povere d’Italia) è qualcosa che non può non destare attenzione. Fin da subito il feeling tra Maradona e la città di Napoli è molto forte proprio perché entrambi si riconoscono nella voglia di riscatto da una condizione di sfruttamento e miseria. Questo fin dall’inizio, anche se il primo anno di campionato italiano per Maradona risulta non essere all’altezza delle aspettative (guadagnando comunque un buon ottavo posto in classifica). Ben presto però le doti di giocatore di Diego vengono fuori (più o meno in contemporanea con l’affermarsi del personaggio-Maradona in ambito mediale) fino ad arrivare al famoso campionato 1986-1987 in cui Maradona fa vincere al Napoli il suo primo scudetto. È l’inizio di una carriera strepitosa che, in pochi anni, lo porta a vincere un altro scudetto con il Napoli, una Coppa Italia e perfino una Coppa Uefa. In mezzo va aggiunto anche il Mondiale ’86 in cui la nazionale argentina, di cui fa parte, si laurea campione del mondo.

Maradona diventa ben presto l’idolo indiscusso della città di Napoli e ben presto si crea il “mito-Maradona”. Ma contemporaneamente diventa anche il principale oggetto di critica da parte dei giornalisti sportivi e dagli avversari. Da qui cominciano anche i guai derivati dalla dipendenza da cocaina, ormai unico rimedio, da parte di Diego, per fuggire allo stress quotidiano cui è sottoposto. Tra gli scandali per il doping, amicizie imbarazzanti con i boss della Camorra e figli non riconosciuti, il film mostra la dualità delle due anime di Diego Maradona. Il quale, da eroe di un “riscatto sociale” diventa sempre più una figura tragica e shakesperiana, un uomo incapace di conciliare il pubblico con il privato, fino all’inarrestabile caduta.

Realizzato quasi interamente grazie all’utilizzo dei soli materiali di repertorio (dei 130′ di cui si compone il film solo 8′ non sono in found footage), che la famiglia di Maradona ha messo a disposizione del regista, sono le stesse parole di Maradona e delle persone che l’hanno conosciuto, o che hanno avuto a che fare con lui, a scandire la narrazione. Un immenso lavoro di montaggio, da parte di Kapadia, che riesce a restituire un racconto di vita particolarmente interessante, complesso ed emozionante. Le varie sequenze creano un preciso ritmo narrativo che, nel complesso, fa sì che l’attenzione dello spettatore non venga mai meno (nonostante la lunghezza della pellicola) e riescono, allo stesso tempo, a farlo entrare nel vivo della storia, fin quasi dentro lo stesso campo da calcio.

Si tratta di un documentario che gioca tutto sull’emozione e sull’empatia verso il suo protagonista principale. Il risultato finale è una grande riflessione sulla complessità dell’animo umano, fatta attraverso una storia che non sfigurerebbe in una qualunque opera di fiction a tema sportivo. Eppure questa è una storia vera, il che rende il tutto ancora più interessante, e non solo per lo spettatore appassionato di calcio.

La pellicola è stata presentata all’ultimo Festival di Cannes e verrà distribuita nei cinema italiani da Nexo Digital e Leone Film Group solo il 23, 24, 25 settembre 2019.

Un’ottima occasione per scoprire l’interessante racconto di vita di un ragazzo, proveniente da uno dei posti più poveri del mondo, che è riuscito ben presto a diventare Leggenda.
Una storia che è soprattutto sociale e antropologica prima ancora che sportiva.

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