Dopo il successo di Turner, Mike Leigh rimane nell’Inghilterra della Rivoluzione Industriale, passando dal ritratto di un orgoglio nazionale all’esplorazione di uno dei momenti più vergognosi della storia britannica. Peterloo è il racconto del massacro di St. Peter’s Field, vicino a Manchester, dove il 16 agosto 1819 la cavalleria della Guardia Nazionale si scagliò contro una folla di sessantamila persone confluite pacificamente da tutta la regione per chiedere il rispetto del loro diritto costituzionale a poter votare. Fu un atto di vigliaccheria dove persero la vita 18 persone, e centinaia furono i feriti. L’episodio passò alla storia come il Massacro di Peterloo – da cui il titolo del film – per la sua vicinanza temporale alla battaglia di Waterloo, dove gli inglesi avevano sconfitto l’esercito di Napoleone.

Da Waterloo a Peterloo

Il film restituisce un affresco complesso e articolato del tempo, prendendo come punto di partenza la vittoria a Waterloo, per addentrarsi poi nel dopoguerra punteggiato dall’indigenza e dalla fame, causati dalla tassa sull’importazione del grano, e tracciando il percorso di crescita del malcontento generale che culminerà nella manifestazione del 16 agosto.

Leigh ricostruisce la vicenda attraverso l’uso intelligente di montaggio alternato e accostamenti per contrasto. Peterloo è un film denso di parole, ma è sul piano dell’immagine e del dialogo tra inquadrature che Leigh sviluppa il suo discorso sulla Storia. È infatti attraverso le immagini che il regista palesa la sua posizione: durante i comizi, la camera è immersa nella folla e guarda all’oratore; occasionalmente indugia sui volti rapiti ed espressivi degli astanti, catturandone la mimica di approvazione per le parole ascoltate e l’orgoglio di classe. Leigh è parte del popolo, è uno di loro; così come noi lo diventiamo, invitati dal regista a prendere posto tra la gente, e non a assistere all’evento dall’alto di una fredda e distaccata inquadratura in campo lungo.

La fotografia di Dick Pope richiama Vermeer negli interni domestici, sviluppando anche una progressione cromatica lungo l’arco del film: dopo Waterloo la palette è cupa, e va via via illuminandosi fino al tripudio di colori squillanti e di bianchi cangianti sotto il sole della piazza in quell’agosto di sangue, l’ultimo momento di luce prima che il film ripiombi nell’oscurità, nel finale.

Sù il sipario, va in scena il potere

Il trattamento che il regista riserva ai diversi rappresentanti delle classi sociali coinvolte, è in sé stesso una critica feroce alla cecità dello Stato nei riguardi dei bisogni del suo popolo: alla passione autentica e ardente dei riformatori, Leigh contrappone la teatralità melodrammatica – e, talvolta, addirittura farsesca – dei servitori della Corona. Primo fra tutti, il Principe Reggente: chiuso tra le quinte del suo palazzo, appare come un vecchio attore di vaudeville nei panni di un regnante dispotico, un personaggio meschino e ridicolo al tempo stesso. I rappresentanti della giustizia non ne escono meglio: malati di superbia e incapaci di esprimersi spontaneamente, impongo la propria autorità a suon di citazioni ora dalla Bibbia, ora dagli antichi. A un passo dal culmine di questa vicenda drammatica, il disprezzo per la Corona e i suoi rappresentanti diventa palese: l’ordine che darà inizio al massacro di Peterloo, viene dato da una delle finestre che guardano la piazza gremita, da cui i procuratori osservano impauriti la folla sottostante, come donnette in equilibrio su una seggiola in attesa che qualcuno cacci via il topo.

Leigh si schiera nettamente, sì. Ma non è cieco alle contraddizioni presenti anche, e soprattutto, all’interno del movimento stesso dei riformisti: non cela le frizioni interne tra i promotori dell’iniziativa popolare sulla possibilità di abbandonare un modus operandi pacifico e di passare alla lotta armata. Così come decide di non ignorare come si mantenesse un certo grado di elitarismo anche all’interno degli ambienti del movimento “popolare”, che escludeva di fatto le persone meno istruite – molto spesso le donne – dalla possibilità di comprendere davvero il contenuto del messaggio politico (reso con un linguaggio troppo complesso), e quindi dalla possibilità di essere partecipi del dibattito pubblico con le loro esperienze di lotta quotidiana.

Capire per reagire

La critica non è stata unanime. C’è chi lo giudica un film troppo concentrato sui meccanismi politici della rivolta e carente in quanto a coinvolgimento emotivo: insomma, una lezione di storia, più che un film su un fatto storico. Il Guardian (peraltro direttamente figlio di quel massacro, che determinò la fondazione dell’antenato della testata) ne parla come a richly intelligent, passionate movie, valutando invece positivamente l’indugiare del regista sulla parte tutta “verbale” e teorica riservata a comizi e assemblee, che rende l’impatto della sanguinosa azione finale ancora più forte. Personalmente sono d’accordo con il Guardian, e ho apprezzato l’approccio rigoroso e la scelta del regista di indagare e rendere esplicite le cause sociali che hanno portato alla strage di St. Peter’s Field, piuttosto che fare leva sulla lacrima facile. Occorre capire un’ingiustizia per poterne sentire pienamente il peso ed esserne smossi nel profondo.

Nel complesso, Peterloo è un film necessario. A ricordare un fatto storico cruciale messo in ombra oramai da troppo tempo. Ma a ricordarci anche con quanta facilità gli interessi di pochi vengano anteposti a quelli della collettività. Una lezione che, oggi, arriva tutt’altro che fuori tempo.

Dopo l’anteprima a Venezia lo scorso agosto, Peterloo di Mike Leigh arriva ufficialmente nelle sale italiane oggi, giovedì 21 marzo. Il film è una produzione Amazon Studios, Film 4 e British Film Council.

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