Steve McQueen, già al tempo di Hunger ritenuto uno dei più promettenti autori del cinema britannico, con Shame e 12 anni schiavo ha dimostrato di sapersi muovere abilmente anche nel mondo del cinema americano, ottenendo grande successo commerciale e numerosi premi. Con il suo quarto film, Widows – Eredità criminale, centra il bersaglio per la quarta volta consecutiva. Ambientato a Chicago, il film narra le conseguenze di una fallita rapina ad un’organizzazione criminale di Chicago, concentrandosi in particolare su Veronica, Alice e Linda, le tre vedove dei rapinatori, deceduti nell’operazione. Le tre donne (rispettivamente interpretate da Viola Davis, Elizabeth Debicki e Michelle Rodriguez), in bolletta e minacciate dal boss Jamal (Brian Tyree Henry), dovranno improvvisarsi a loro volta rapinatrici per risarcire quest’ultimo.

Un risultato notevole come quello di Widows è stato possibile grazie anche alle variazioni su un espediente di trama già usatissimo come quello della rapina, che quasi sempre vede tutto il resto degli eventi come secondari e funzionali solo a quest’ultima. La sensazione data dalla visione del film, quella che lo rende davvero particolare e diverso dagli heist movie più famosi, è che l’evento cardine della trama passi quasi in secondo piano rispetto a quel che lo circonda. Ciò che conta davvero in Widows sono le identità dei suoi personaggi e il modo in cui questi interagiscono tra loro e con il mondo che li circonda. McQueen applica le meccaniche da “pesce fuor d’acqua” dimostrando capacità e sensibilità fuori dal comune, senza tuttavia mai scadere in sentimentalismi eccessivi.

Come di norma nel cinema dell’autore britannico, anche in Widows tutti gli aspetti del film coesistono in armonia e contribuiscono a dargli eleganza e scorrevolezza, nonostante la moltitudine di eventi e linee narrative. In una storia che ha uno dei più grandi punti di forza nella caratterizzazione dei suoi personaggi, e nella quale quindi la recitazione è fondamentale, gli interpreti sono sempre all’altezza dei propri ruoli. Senza soffermarci sul lavoro di attori come Viola Davis già apprezzati da diversi anni, gradite sorprese sono le interpretazioni di Elizabeth Debicki e Daniel Kaluuya, quest’ultimo nel ruolo di Jatemme, spietato fratello di Jamal. I loro personaggi e metodi recitativi sono decisamente diversi, ma entrambi efficacissimi: lei intensa e capace di passare agilmente da uno stato emotivo all’altro, lui gelido e sardonico, in grado di incutere timore con il solo sguardo.

Un espediente decisamente brillante è il susseguirsi delle apparizioni di Harry Rawlings (Liam Neeson), marito di Veronica e capo del gruppo di rapinatori. Di tanto in tanto, egli appare nell’immaginazione di Veronica, distrutta dalla mancanza dell’uomo che amava. Sebbene possa portare ad un po’ di iniziale confusione, questa scelta di regia riesce a rivelarsi fondamentale a livello narrativo, creando nella trama una svolta fondamentale senza quasi bisogno di usare parole.

Neanche il sottotesto socio-politico è da sottovalutare. Sullo sfondo delle vicende principali si svolge la battaglia tra i due candidati per l’elezione a consigliere comunale: uno di essi è Jack Mulligan (Colin Farrell), l’altro proprio Jamal, che vuole la posizione per poter uscire dal circolo criminale. Il personaggio di Jack è uno tra quelli in grado di trasmettere maggior sorpresa nel corso della storia: dai suoi dialoghi con Jamal e con il proprio padre Tom (Robert Duvall), anch’egli figura pubblica di rilievo, emerge una realtà che ce lo mostra come un politico nettamente in controtendenza con il conservatorismo bianco e borghese rappresentato da Tom e, per estensione, dai suoi predecessori. Il fatto che poi il suo avversario afroamericano, simbolo del cambiamento per eccellenza, sia un criminale senza scrupoli rappresenta un’ulteriore prova di distacco dalle convenzioni per McQueen. Nella Hollywood politicamente corretta ad ogni costo, una simile inversione di ruoli è una scelta più coraggiosa di quanto possa sembrare.

Infine, Widows va decisamente apprezzato per il suo riuscire ad essere un perfetto heist movie al femminile con lo sguardo ben focalizzato su un contesto sociale sfavorevole che purtroppo coinvolge ancora fin troppe donne. Una tendenza del cinema hollywoodiano d’azione più recente consiste nel caratterizzare i personaggi femminili rendendoli praticamente intercambiabili con quelli maschili, tranne che per qualche ammiccamento spesso tendente allo stereotipo di genere; alla faccia dell’ipocrisia, insomma. Widows fa esattamente l’opposto: le sue protagoniste non sono modelli prefabbricati di eroine d’azione, già all’apice delle abilità umane e in grado di compiere qualunque impresa senza mostrare debolezze, o a volte addirittura sentimenti (caratteristiche applicabili anche alle controparti controparti maschili, ovviamente). Chiunque abbia visto Ocean’s 8 di Gary Ross ha assistito ad un esempio principe di questa tendenza.

Nel film di McQueen troviamo invece donne catapultate in una situazione drammatica, fatta di lutti e minacce di morte, che nonostante la loro inesperienza riescono ad organizzare un’impresa che fino a poco prima esse stesse avrebbero ritenuto impensabile, armate della sola forza di volontà e manifestando tutte le loro insicurezze e le sfaccettature di ogni normale essere umano. In questo modo il film riesce a raccontare una storia di donne che ottengono il loro riscatto pur mantenendosi ancorato alla realtà, una realtà nella quale la disparità di genere è una triste norma, in tutte le sue forme.

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