Basare l’aspetto scenografico del proprio film su un unico materiale è da sempre un’arma a doppio taglio. Se da un lato può consentire un risparmio notevole, dall’altro il rischio di scadere nel posticcio è più che elevato. Con Dave Made a Maze (2017), il regista americano Bill Watterson è riuscito a non cadere nella trappola rendendo quel materiale una parte integrante della sceneggiatura e costruendo tutto un mondo intorno ad esso. Il materiale in questione è il cartone, e colui che lo utilizza e trasforma è Dave (Nick Thune), trentenne protagonista del film. L’uomo si dedica ossessivamente a costruire nella sua dimora un castello composto di solo cartone, fino a rimanere “intrappolato” al suo interno; la fidanzata Annie (Meera Rohit Kumbhani) e gli amici entrano nel piccolo castello per convincerlo ad uscire, e quello che trovano è un gigantesco labirinto costellato di trappole di ogni sorta (tutte in cartone), nell’incredulità totale. Salvare Dave e uscire dal labirinto diverranno quindi gli obiettivi principali del gruppo di protagonisti.

Il film fonde una grande quantità di generi: fantastico, avventura, commedia e horror vengono intrecciati con una sapienza che non è comune a tutti gli autori. Già dai titoli di testa in forma di cartone animato, come quelli di coda del resto, si può intuire la cifra stilistica che Watterson mostra nella sua opera. A livello puramente formale, la creatività del regista nell’ideare gli elementi presenti nel labirinto è sorprendente, e il fatto che tali elementi siano tutti legati al cartone aggiunge ulteriori punti a questo aspetto. Tutte le armi da taglio che compongono i trabocchetti sono costituite da questo materiale, e nonostante ciò sono in grado di uccidere chiunque colpiscano, come fossero fatte di vero metallo. In generale, nel labirinto le normali leggi della fisica non hanno valore. Al di là delle dimensioni impossibili della sua parte interna, la missione di Annie e gli altri procede svelando elementi ancora più improbabili, come il fatto che il labirinto cresca in grandezza anche all’esterno, propagandosi come un’infezione; una luce misteriosa in grado di trasformare il corpo di chiunque tocchi in cartone; una stanza nella quale chiunque entri viene trasformato in un pupazzo di cartone, per poi tornare normale una volta uscito.

Nell’edificio troviamo persino creature “viventi”: i protagonisti hanno spesso a che fare con marionette e mostri, tra i quali il più degno di nota è un minotauro, creatura associata ai labirinti fin dai tempi del mito greco e qui riadattata per l’occasione. Le stesse regole della biologia si piegano al volere del labirinto: tutto il sangue uscito dalle ferite viene sostituito da stelle filanti rosse, e questo non solo mantiene alto il livello di coerenza dell’ambiente in cui si svolge la storia, ma permette anche di minimizzare la quantità di violenza presente nel film, eludendo i divieti di visione imposti dal sistema di rating delle pellicole.

L’esistenza del labirinto e le sue caratteristiche sovrannaturali nascondono diverse allegorie. Innanzitutto il rapporto tra l’artista e il proprio lavoro; Dave è talmente ossessionato dalla costruzione del labirinto che quest’ultimo finisce per fagocitarlo, impedendogli di uscire. Una tipica immagine dell’artista lo vede immergersi talmente tanto nella propria creazione da perdere sé stesso nell’impresa di darle vita; Dave riesce letteralmente a perdersi nel progetto al quale stava lavorando. Il suo smarrimento ha però radici più profonde. Come molti trentenni del terzo millennio, Dave è disoccupato e non riesce a rimanere in pace con sé stesso, motivo per cui aveva iniziato a lavorare al labirinto in primo luogo. È stata la sua difficoltà nel trovare una strada che fosse giusta per lui a causare il suo smarrimento nel labirinto, che non a caso si scoprirà in seguito essere legato alla sua immaginazione. La ricerca di un traguardo da parte di Dave si tradurrà infatti con la ricerca della fine del labirinto, dotato di un centro nevralgico in grado di permettere ai prigionieri di uscire. Il tutto in fin dei conti non è altro che un gioco mortale il cui completamento è però necessario per ottenere la libertà. La fuga dal dedalo, riuscita al termine del film dopo la morte di diversi compagni di avventura, è la metafora finale di Dave Made a Maze: nonostante tutte le perdite e le sconfitte, non si può smettere di lottare per la propria realizzazione come individui.

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