È superfluo parlare della fama e dell’influenza che Pinocchio di Carlo Collodi ha guadagnato tra le opere letterarie italiane. Cinema e televisione, sia italiani che stranieri, lo hanno adattato nei modi più disparati. L’ultimo tentativo del cinema italiano di adattare il romanzo si era avuto nel 2002 con la regia di Roberto Benigni, anche protagonista; a raccontare sul grande schermo la storia del burattino è ora Matteo Garrone. Benigni è presente anche in questa versione, ma stavolta nel ruolo di Geppetto, mentre la parte di Pinocchio è affidata al giovanissimo Federico Ielapi, già apparso al cinema in Quo vado? e in televisione nell’undicesima stagione di Don Matteo. Tra gli altri nomi rilevanti del cast Massimo Ceccherini (la Volpe), anche sceneggiatore assieme a Garrone, Rocco Papaleo (il Gatto), Gigi Proietti (Mangiafuoco) e Marine Vacth (la Fata Turchina).

Rispetto a molte delle precedenti incarnazioni cinematografiche di Pinocchio, in quella di Garrone traspare un’atmosfera di miseria che persiste durante gran parte della trama. Fino alla nascita di Pinocchio, animatosi a partire da un tronco di legno magico, Geppetto e il suo stato di indigenza sono protagonisti assoluti. Anche dopo il lieto evento la situazione non si semplifica, e il clima generale è permeato da una cupezza che avvolge anche i momenti più spensierati. Questo Pinocchio mostra più sagacemente di molti altri il lato maligno e approfittatore dell’umanità, in tutte le sue forme (rispecchiate non a caso da quelle esteriori).

Nonostante ciò, il film resta fruibile anche dal grande pubblico di bambini. L’umorismo non manca, grazie a un efficace insieme di fattori che si intrecciano per dargli origine. Tra questi la sceneggiatura, alla quale Garrone e Ceccherini aggiungono quel tocco di bizzarria e provincialismo in grado di conciliarsi alla perfezione con l’ostilità dell’ambiente. Impossibile non citare gli interpreti, tutti incredibilmente azzeccati nei propri ruoli e capaci di dare ancora più risalto ai dialoghi che li vedono coinvolti. Sorprendente anche la componente visiva: trucco ed effetti speciali, immersi in una fotografia grigia e quasi gelida, donano a Pinocchio l’identità di una favola cupa, inquietante ma divertente, con un fascino oscuro dal gusto tipicamente europeo.

Garrone comprova il suo status di cineasta capace di dare vita a storie dal respiro internazionale. Con Pinocchio e il precedente Il racconto dei racconti inoltre riesce a ritagliarsi un posto tra i pochi registi in grado di affrontare il genere fantastico nel cinema italiano attuale. Infine, la cifra stilistica che riesce ad apporre anche su storie così distanti lo rende un autore tra i più capaci e versatili del panorama nazionale. Da solo, Pinocchio rispecchia tutte le caratteristiche sopra elencate, che Garrone aveva già dimostrato in precedenza e che in questo suo nuovo lavoro riemergono prepotenti. Non è quindi un’opera di consacrazione, ma la conferma di un talento già esistente. Una felice formalità.

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