A ben tre anni di distanza dalla sua presentazione al Festival di Cannes, arriva finalmente nelle sale, il 29 agosto, Mademoiselle, l’ultima fatica di Park Chan-Wook, un’opera che si allontana in maniera decisa dalla sua consueta poetica ma che sicuramente farà parlare molto di sé. E per questo si ringrazia sentitamente la distribuzione di Altre Storie.

Prendendo liberamente ispirazione dal best seller Ladra di Sarah Waters, il regista coreano sposta l’ambientazione dall’Inghilterra vittoriana alla Corea degli anni Trenta, durante l’occupazione giapponese. Qui, un truffatore che si fa chiamare Conte Fujiwara assolda la borseggiatrice Sookee per derubare Lady Hideko, una ricca ereditiera giapponese prigioniera nella sontuosa villa dello zio, un collezionista di libri antichi. Il ladro intende infatti servirsi della ragazza, che diventerà la dama di compagnia di Hideko e la convincerà a sposarlo, per poi potersi impossessare dell’eredità e liberarsi della donna chiudendola in manicomio. Sookee, allettata dal denaro che potrà guadagnare con la sua complicità, accetta la proposta ma ben presto comincerà ad affezionarsi alla sua signora e alla sua apparente fragilità, a condividerne i desideri e le paure e, inevitabilmente, finirà per innamorarsene. Ma nulla di ciò che avviene è come sembra.

Con la raffinata abilità di narratore che da sempre lo contraddistingue, il regista si riconferma uno scaltro “ingannatore”, esattamente come i suoi personaggi: dividendo il film in 3 parti, Park (qui anche sceneggiatore insieme a Chung Seo-kyung) gioca continuamente sull’ambiguità e sul colpo di scena, cambiando le carte in tavola e suggerendo di volta in volta un epilogo differente, con l’intento di attrarre gli spettatori in un percorso seducente e articolato. Il tutto è contornato da una messa in scena a regola d’arte, una regia ricca di virtuosismi, che incornicia ogni sequenza come in un dipinto, e una scenografia di grande opulenza.

Ma a differenza delle opere precedenti del cineasta, il tutto si concluderà con un lieto fine per le due protagoniste, che grazie al loro amore riusciranno ad averla vinta e a vivere liberamente la loro relazione. Mademoiselle è infatti un inno alla bellezza, all’erotismo e all’astuzia delle donne, che erroneamente vengono spesso considerate alla strenua di oggetti sessuali o delicate bambole di porcellana, e che invece sono in grado di far cadere gli uomini nelle loro stesse trappole. D’altro canto, le figure maschili, come il Conte e il perverso zio Kouzuki (anch’esso intenzionato a impossessarsi dell’eredità della nipote) sono destinati a soccombere sotto il peso della loro stessa avidità.

Una nota di merito va alla scrittura del personaggio di Lady Hideko (Kim Min-hee), una donna solitaria e malinconica, costretta dallo zio a intrattenere ricchi uomini d’affari con letture erotiche, ma intenzionata a sfruttare qualunque opportunità per liberarsi del proprio isolamento. Davvero intenso e ben costruito il rapporto intriso di tensione sessuale con la sua ancella (Kim Tae-ri), che esploderà in una lunga scena soft core.

Sebbene rischi di non incontrare il favore degli storici estimatori di Park, Mademoiselle, con la sua sapiente complessità, rappresenta un notevole passo in avanti per la cinematografia del regista, che è in grado di tessere un’intricata tela di eventi e di generi senza mai restarne invischiato. D’altronde, come egli stesso afferma, si tratta di «un film thriller, una storia di truffatori, un dramma con diversi colpi di scena inaspettati e, più di ogni altra cosa, una storia d’amore».

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