Il primo capitolo cinematografico di Deadpool fu un successo enorme: incassi paragonabili a quelli dei cinecomics “tradizionali”, ma con un costo quattro volte inferiore e senza la possibilità di contare sul pubblico più giovane, a causa del divieto ai minori imposto alla distribuzione. Il secondo episodio della saga alza il tiro, aumentando budget, numero di personaggi, prestigio del cast e inside jokes. Le scintille che mettono in moto la trama del film sono l’omicidio di Vanessa (Morena Baccarin), storica fidanzata dell’invincibile mercenario Deadpool/Wade Wilson (Ryan Reynolds), e l’arrivo dal futuro di Cable (Josh Brolin), letale soldato giunto nell’epoca di Deadpool per commettere un assassinio.

È risaputo come uno dei motivi del successo del primo Deadpool sia la sceneggiatura completamente al di fuori degli schemi prestabiliti dal genere. Tutti i limiti del cinefumetto mainstream, tipologia di film sempre più presente nelle sale di tutto il mondo, vennero sovvertiti da una tempesta di violenza, volgarità e scorrettezza, che il pubblico ormai stanco delle solite storie dimostrò di apprezzare; inoltre le continue citazioni e rotture della quarta parete da parte del suo protagonista contribuirono a rendere il tutto ancora più iconico. Sul piano della sceneggiatura, Deadpool 2 non ha nulla da invidiare al film precedente. Nuovi personaggi, tra cui Cable e Fenomeno (interpretato dallo stesso Ryan Reynolds), già molto apprezzati dagli appassionati di fumetti, contribuiscono a creare situazioni paradossali al limite della decenza, perfettamente in linea con il primo film della saga.

Tra gli esempi più memorabili la sequenza dell’entrata in scena della X-Force, squadra di combattenti mutanti con superpoteri assemblata da Wade per una missione di salvataggio: un (relativamente) semplice lancio paracadutistico eseguito dalla squadra termina con la morte accidentale di quasi tutti i suoi membri, ad eccezione di Wade stesso e di Domino (Zazie Beetz), asso nella manica del gruppo. Uno di loro, lo Svanitore, mutante in grado di diventare invisibile e rimasto tale fino a quel momento, si schianta contro dei cavi elettrici e nella folgorazione perde l’uso del proprio potere, rivelando che l’attore che lo aveva “interpretato” altri non era che Brad Pitt; una ridicolizzazione del divismo hollywoodiano che avviene talmente in fretta da cogliere inevitabilmente di sorpresa lo spettatore.

Deadpool 2 ha però un elemento che manca al predecessore e che si articola su più dimensioni, ossia la lotta al destino. Il personaggio di Domino, menzionato poco fa, ne è un perfetto rappresentante. La ragazza si presenta a Wade affermando come il suo unico superpotere sia la sua gran fortuna. Difficile prendere sul serio un esordio simile, resta il fatto che sul campo di battaglia questo bizzarro potere si svela in tutta la sua utilità. Domino è letteralmente immune a qualunque evento negativo, ed anzi il fato stesso si piega al suo volere per farle raggiungere i suoi obiettivi, con risultati che sullo schermo risultano quantomeno esilaranti.

Un’altra rappresentazione degna di nota è basata sul dispositivo per il viaggio nel tempo di cui Cable si era servito per giungere nel presente del film. Dopo la morte di Wade successiva alla battaglia finale, Cable torna indietro nel tempo, con l’ultima energia rimasta al macchinario, per salvare la vita all’amico/ex rivale, che può così continuare con la propria vita. Questo tuttavia è solo l’inizio: nelle scene durante i titoli di coda, gli amici di Wade riparano il dispositivo, permettendo al mercenario di viaggiare numerose volte nello spazio-tempo, e i risultati sono inaspettati a dir poco. Wade salva innanzitutto Vanessa, annullando un evento che fino a dieci minuti prima sembrava inevitabilmente scritto nel destino; non soddisfatto, giunge nell’universo in cui è ambientato X-Men le origini – Wolverine (diretto da Gavin Hood nel 2009) e uccide la propria versione alternativa presente nel film, interpretata anch’essa da Ryan Reynolds e adattamento del personaggio universalmente odiato dal pubblico. Infine, Wade arriva nella stanza in cui è presente il vero Ryan Reynolds, in procinto di accettare il ruolo da protagonista nel famigerato Lanterna Verde di Martin Campbell (2011), e uccide anche l’attore stesso. Una riscrittura della realtà su più livelli e in continua crescita che richiede varie conoscenze pregresse della Marvel cinematografica, ma che ricompensa ampiamente chiunque abbia tali conoscenze.

La sconfitta del destino che lascia il segno più eclatante tuttavia si trova al di fuori del film. Per capire di cosa si parli bisogna fare un passo indietro e spostarci nella nostra realtà, precisamente nel dicembre 2017. In quel periodo la Walt Disney Company fece tremare il mondo dell’intrattenimento annunciando la sua volontà di acquisire la 21st Century Fox, proprietaria dei diritti della saga di Deadpool. Una critica che oggi viene spesso mossa alla Disney è l’appiattimento estetico-culturale che opera nei confronti delle proprietà intellettuali in proprio possesso; la sua volontà di creare prodotti ad alto budget “per tutta la famiglia” porterebbe alla soppressione di elementi contrari alla logica family-friendly, rendendo tutti questi prodotti inoffensivi e quasi intercambiabili tra loro se li si guardasse a livello stilistico. Si temeva che anche un eventuale terzo capitolo di Deadpool avrebbe fatto una fine simile. Il presidente e CEO della Disney Bob Iger ha però subito rassicurato il pubblico, affermando che il personaggio non sarebbe stato abbandonato dalla compagnia, e che i futuri film di Deadpool avrebbero potuto contenere la stessa quantità di volgarità e violenza concessa ai capitoli precedenti. È chiaro come niente di tutto ciò sia dipeso direttamente dagli autori dei due Deadpool, né da chiunque fosse coinvolto nella loro lavorazione, ma è innegabile che le alte sfere della Disney non avrebbero mai potuto compiere una scelta simile senza i clamorosi risultati di pubblico e critica riscossi dalla saga. Per un’opera come Deadpool 2, che come il primo affonda le sue radici in metanarrazione, rottura della quarta parete e sconfinamento della realtà nella fantasia, questo risultato nella lotta contro il destino è probabilmente il massimo possibile.

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