Dopo ben cinque anni dall’uscita di Pacific Rim, il suo seguito, Pacific Rim – La rivolta (Pacific Rim: Uprising), è stato distribuito nelle sale di tutto il mondo. La stessa possibilità di esistenza di Uprising era tutt’altro che sicura nei mesi successivi all’uscita del suo predecessore; una performance deludente nel Nord America sembrava averne precluso la realizzazione, ma il grande successo ottenuto sul mercato cinese e l’acquisizione della Legendary Pictures, casa produttrice del film, da parte del conglomerato cinese Wanda Group hanno cambiato le carte in tavola ed il film è stato infine prodotto e distribuito. Nel frattempo è avvenuto un cambiamento fondamentale; Guillermo del Toro, regista del primo Pacific Rim che era già in trattativa per dirigere il secondo, è stato sostituito alla regia dal noto autore televisivo Steven S. DeKnight. La conseguenza di questi stravolgimenti interni ed esterni alla produzione è che Pacific Rim – La rivolta risulta decisamente diverso rispetto al film che lo ha preceduto: un cambio di direzione intuibile già dalla differente provenienza dei registi dei due film. Guillermo del Toro è sempre stato un autore legato indissolubilmente al cinema, settore nel quale lavora da più di trent’anni; dopo l’ordinaria gavetta, nel 1993 ha iniziato a dirigere numerosi film di successo, l’ultimo dei quali, La forma dell’acqua (The Shape of Water), ha conquistato gli ambiti premi Oscar per il Miglior Film e il Miglior Regista. Steven S. DeKnight esordisce al cinema proprio con il sequel di Pacific Rim, dopo una carriera come produttore e sceneggiatore televisivo di serie di successo, quali Spartacus con i relativi spin-off e la prima stagione di Daredevil.

La visione di entrambi i film in sequenza non lascia dubbi: del Toro è da sempre appassionato di kaiju e mecha, rispettivamente i mostri titanici del cinema catastrofico giapponese e gli altrettanto titanici robot pilotati da umani, presenti in moltissimi fumetti e serie animate. Nel realizzare un film con tutti i mezzi concessi da un budget hollywoodiano, del Toro ha fatto il possibile per dare un’aura di epicità e potenza alle battaglie tra robot e mostri: ispirandosi all’arte di autori quali Francisco Goya e George Bellows, ha dato fondo al suo immenso talento registico nella costruzione di inquadrature magistrali che susseguendosi sullo schermo trasmettono tutto il senso della grandezza degli scontri, sacrificando l’agilità dei combattenti in nome di una lentezza che si manifesta in ogni colpo devastante messo a segno. Allo stesso tempo del Toro voleva però ricreare l’atmosfera che si respirava nell’animazione giapponese a tema mecha, con tutta la leggerezza e l’ingenuità che ne derivano: la sceneggiatura, scritta dallo stesso del Toro assieme a Travis Beacham, è infatti perfettamente lineare, con un solo flashback, e contiene tutte le inesattezze che abbondavano nelle opere cui il film si è ispirato, tra le più palesi la natura “analogica” del mecha pilotato dai protagonisti.

Al contrario DeKnight, che ha fatto della sceneggiatura il suo principale mestiere e che non dispone delle abilità tecniche e soprattutto dell’estetica di del Toro, sceglie di puntare proprio su quella nella realizzazione di Pacific Rim – La rivolta. Al film infatti manca del tutto la regia dal tono imponente che del Toro aveva adottato, presentandone invece una molto più convenzionale, da blockbuster generico, per scelta delle inquadrature, montaggio, fotografia e ritmo generale; essendo questi i principali punti di forza del primo Pacific Rim, è inutile negare come il loro venir meno abbia causato un abbassamento di qualità nel sequel, cosa che però lo stesso DeKnight evidentemente aveva previsto e che ha quindi cercato di controbilanciare. Il regista infatti rivoluziona la narrazione fin dalle fondamenta; costruisce un vero e proprio soft reboot della saga, facendo iniziare l’azione dieci anni dopo il termine della trama del film precedente con nuovi protagonisti, affiancando ad essi alcuni ritorni più o meno necessari alla trama. I nuovi protagonisti sono Jake (John Boyega), pilota riluttante figlio dell’ufficiale Pentecost interpretato da Idris Elba nel film precedente, e Amara (Cailee Spaeny), una giovane ragazza dalle promettenti abilità nella costruzione di mecha; tra i personaggi riutilizzati troviamo Mako (Rinko Kikuchi) sorella adottiva di Jake, e i due scienziati Newton (Charlie Day) e Hermann (Burn Gorman).

L’arrivo di un mecha di origine sconosciuta pronto ad attaccare le istituzioni dà inizio ad una serie di eventi che vanno a riconnettersi direttamente al primo Pacific Rim e contemporaneamente espandono l’universo nel quale entrambi i film sono ambientati; La rivolta si appropria di elementi lasciati a loro stessi nel primo film e li organizza dando un nuovo senso alla saga nel suo complesso. Un esempio lampante è la scoperta che l’attacco dei kaiju agli insediamenti umani, che sembrava non avere uno scopo oltre alla distruzione del nemico, era in realtà mirata al raggiungimento di uno specifico luogo dall’importanza vitale per le creature; a propria volta, il piano di queste ultime non sarebbe stato realizzabile senza l’aiuto di una spia umana, controllata a distanza in seguito a un evento fondamentale avvenuto nel film precedente. Come già accennato, La rivolta guarda anche al futuro della saga, oltre che al passato, ponendo le basi per qualcosa di molto più grande: le scoperte e le vittorie dei protagonisti permetteranno loro di organizzare quello che in un eventuale sequel sarà un attacco frontale contro la dimora dei mostri, in quello che gli autori stessi hanno definito l’inizio di un universo condiviso, annunciando inoltre che la fine dell’ipotetico terzo film espanderà ulteriormente il worldbuilding. Gli attuali incassi di La rivolta rendono improbabile la realizzazione di un seguito; se quest’ultimo dovesse concretizzarsi, si spera che possa portare, se non ad un aumento della qualità, almeno a discorsi sull’intertestualità simili a quello appena affrontato.

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