Un documentario sull’arte come passione… purtroppo spesso non ricambiata!

Un viaggio esteriore ed interiore che prende la forma di un diario poetico. È quasi un moderno grand tour quello che compie la regista cinese (naturalizzata tedesca) Dandan Liu in Half Dream.

Con la differenza che il grand tour classico aveva come scopo quello di accrescere le conoscenze dei giovani rampolli europei per crescere umanamente grazie alla cultura. Qui il viaggio ha un significato più intimo e personale, con lo sguardo più rivolto verso il passato che non al futuro.

Nato da una tesina universitaria sul tema del significato dell’arte, la regista approfondisce la tematica intervistando alcuni suoi ex-amici e compagni di corso all’Accademia di Belle Arti di Pechino (la scuola che li ha formati) che, per una ragione o per l’altra, hanno deciso di abbandonare i propri percorsi artistici.

La domanda quindi diventa presto: “A che cosa è servito studiare arte?”, che ne nasconde un’altra più inquietante sottintesa: “Pensi che sia stato inutile studiare arte?”.

Si potrebbe, infatti, riassumere quest’opera come “il mondo dell’arte dal punto di vista di chi non ce l’ha fatta”, di chi, per le ragioni più varie, ha dovuto rinunciare ai propri sogni e aspirazioni. Al di là del tema scelto però il tono è tutt’altro che malinconico, o perlomeno non del tutto. C’è infatti chi continua a creare facendolo solo per hobby (come l’amico filmmaker) o chi ha scoperto nuove vocazioni (l’amica ex-reporter).

In ogni nuova tappa il racconto si arricchisce di immagini found-footage che mostrano le opere realizzate durante il percorso artistico dei protagonisti. Si spazia dalla fotografia alle arti visive in un caleidoscopio di sperimentalismo artistico incredibile.

Ogni testimonianza rilascia inoltre una certa idea di cosa si l’arte e del perché, ad un certo punto, qualcuno decida di creare qualcosa. Nascono riflessioni per nulla banali in cui l’arte diventa, di volta in volta, un modo per fuggire da una realtà opprimente. E qui la riflessione diventa anche (e soprattutto politica). Il background di ciascuno dei protagonisti, infatti, è la Cina, paese dalle mille contraddizioni in cui il regime vigente non favorisce certo l’individualità delle persone, e quindi anche l’educazione in campo artistico va di conseguenza.

Non a caso la stessa regista arriva a definire la Germania come la sua “vera” patria, il paese in cui ha potuto formarsi e maturare una propria vocazione artistica del mondo. Ma il regime cinese non è l’unico motivo di “sconforto” che può far smarrire dalla “via artistica”. In sottofondo la critica è rivolta a tutto il mondo capitalistico e consumistico in generale, in cui lo spazio per l’immateriale e l’effimero (e quindi anche il mondo dell’arte) non è assolutamente contemplato, soprattutto dal punto di vista economico.

E questa, in definitiva, sembra essere il motivo principale per cui Dandan e i suoi amici si sono ritrovati a fare altro nella loro vita, abbandonando le aspirazioni artistiche e lo stile di vita bohémien che li aveva caratterizzati.
Il film assume quindi la forma di un vero e proprio testamento artistico, con una vena malinconica di gucciniana memoria.

La riflessione sul tempo perduto è rivolta soprattutto la valore dell’istruzione in generale. Ma su quello, tutti quelli che Dandan incontra nella sua strada, ribadiscono l’importanza che questa ha avuto nella loro vita.

Half Dream è un racconto privato e commovente ma allo stesso tempo molto pubblico, in cui le storie narrate sono praticamente universali e l’empatia verso i protagonisti fa sì che ciascuno possa riconoscersi (o conoscere qualcuno di simile) in loro.

Una testimonianza molto umana e un ritratto a nudo di un’aspirante artista e di una comunità di persone accomunate da ambizioni ed aspirazioni comuni. Al contempo una straordinaria riflessione su cosa significhi fare arte oggi e come si possa mantenere la propria creatività in un mondo dove questa viene costantemente appiattita. In fondo, dunque, un manuale di resistenza culturale.

Half Dream inaugura la sezione Biografilm Art & Music del Biografilm festival 2020. E mai scelta potrebbe essere più azzeccata per un manifesto d’intenti più attuale che mai.

 

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata