A sei anni da Frozen, ad oggi il film d’animazione dai maggiori incassi della storia, Chris Buck e Jennifer Lee tornano a dirigere il suo sequel: Frozen II – Il segreto di Arendelle. Insieme ad essi tornano anche i doppiatori dei protagonisti: Idina Menzel (Elsa), Kristen Bell (Anna), Jonathan Groff (Kristoff) e Josh Gad (Olaf) nella versione originale e le rispettive controparti italiane Serena Autieri, Serena Rossi, Paolo De Santis ed Enrico Brignano. La trama inizia tre anni dopo le vicende del primo film: Elsa, ormai regina di Arendelle, inizia a sentire una voce sempre più insistente che la richiama verso una foresta misteriosa. Quando la furia degli elementi si abbatterà sul suo regno, si metterà in viaggio alla volta della foresta assieme alla sorella Anna e agli amici Kristoff e Olaf, per cercare di risolvere la situazione.

Sul piano tecnico-artistico, Frozen II non si distanzia molto dal suo predecessore. Anch’esso infatti è visivamente notevole e provvisto dello stesso tipo di umorismo (aspetto, quest’ultimo, che può risultare positivo o negativo a seconda dei punti di vista). La colonna sonora, pur forse mancando di un tormentone quale poteva essere Let It Go/All’alba sorgerò, resta sempre un punto chiave dell’estetica del film, in grado di dare vita a numeri musicali di grande impatto.

Ciò che davvero differenzia il secondo Frozen dal primo sono le scelte di trama, decisamente poco convenzionali per un classico Disney. Stupisce in particolare la mancanza di un vero e proprio antagonista; la missione di Elsa è incentrata sul riequilibrio delle forze naturali e sulla nascita dei propri poteri. È inevitabile che ciò si traduca nel contrasto con tali forze, ma quel che manca è un potere centrale in grado di catalizzare e coordinare la negatività presente nella storia.

Il nemico va oltre la corporalità e si fa concetto. La sua origine va ricercata nel passato, un passato esplorato gradualmente nel corso della narrazione e ospite di un male costruito su tradimento e avidità. L’unico modo per riportare alla normalità il mondo è espiare questo antico peccato distruggendo i suoi simboli. Nell’era del concettuale e del dominio dei segni, un simile approccio è in grado di intercettare perfettamente le tendenze della contemporaneità. Tutto è al servizio di tematiche che oggi più che mai sono centrali: la difesa dell’ambiente e il conflitto tra popoli. In questo, Frozen II si rivela uno dei classici Disney più attenti all’attualità, in tandem con il precedente discorso su simbolismo e concetti.

Lo stesso stile di narrazione è modellato per calzare a questa morale. L’uso del flashback e la mancanza di un antagonista centrale rappresentano caratteristiche fondamentali in Frozen II, ma sono anche potenzialmente in grado di mettere in difficoltà il pubblico meno attento, specie considerando che il target al quale l’opera è principalmente rivolta è formato da giovanissimi. Se a ciò si aggiungono certi cali di ritmo, non troppo frequenti per fortuna, si ottiene quello che può essere considerato il maggior difetto del film: gli squilibri narrativi.

Frozen II però non è di certo il caso cinematografico che merita di essere demolito. La sua struttura non convenzionale e le sue scelte di trama spesso coraggiose (fino ad un certo punto) lo rendono tra i film d’animazione Disney più interessanti del periodo recente, parallelamente a Zootropolis (2016). È in tutto e per tutto considerabile il lato conscious di Frozen, uguale e contrario al primo capitolo. Un dualismo che rivela la poliedricità artistica di Chris Buck e soprattutto di Jennifer Lee, non a caso anche sceneggiatrice.

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