Men in Black ritorna sul grande schermo con uno spin-off con un cast rinnovato di protagonisti, in una storia non all’altezza delle precedenti che dimostra che il franchise ha bisogno di nuovi stimoli narrativi per rinnovarsi.

Grandi protagonisti di questa nuova avventura, che da come si evince dal titolo ha un sapore più internazionale ed è ambientato prettamente in Europa, sono Tessa Thompson e Chris Hemsworth, il duo protagonista dell’ultima pellicola del Dio del Tuono, Thor: Ragnarok. L’alchimia tra i due è notevole e formano una bella coppia cinematografica. Funzionano e si compensano. Uno grosso, “cazzone” e irresponsabile mentre lei sveglia, intelligente ed equilibrata. Una coppia comica che a livello di “buddys” è ben riuscita. Tuttavia, nonostante la loro bravura, la pellicola è carente dal punto di vista della costruzione narrativa.

La struttura diegetica è stata costruita come se fosse quasi un reboot del franchise, quindi vengono proposte delle situazioni e degli snodi narrativi che ricalcano il primo film della serie (uscito poco più di vent’anni fa). Se si nota bene, a parte il cambiamento di genere della co-protagonista (nel primo film Will Smith e in questo Tessa Thompson) che è frutto dei neo movimenti femministi hollywoodiani, il film segue la medesima linearità. C’è una nuova recluta (sempre di colore) che deve imparare il mestiere e deve fermare dei cattivi che minacciano di distruggere il mondo. Dopo tanti bisticci con il proprio partner, la coppia diventa affiatata e riescono a risolvere la situazione. Inoltre, nel loro viaggio creano relazioni con delle strambe creature aliene che diventano alleate (in questo caso Pedino che richiama gli stecchi del primo film). In sostanza, una struttura stantia e banale che si basa sulla ripetizione narrativa e non osa addentrarsi su nuove dinamiche narrative. Già il terzo capitolo del franchise soffriva di freschezza e dimostrava cedimenti nella struttura.

Le poche “novità” della storia sono il cambiamento dei personaggi e l’ambientazione internazionale. Dagli Stati Uniti si passa ad esplorare il mondo della MIB in Europa, a Londra, ma la chiave di volta che fa muovere la storia è pressoché identica a quella dei precedenti capitoli. Quindi, l’Europa è solo una cornice per ambientare una stantia missione.

Una delle chiavi di successo della trilogia era l’umorismo, l’ironia beffarda di Will Smith che faceva da padrona. In questo nuovo capitolo, i protagonisti non provengono dalla commedia e non hanno la battuta pronta e graffiante. Sono forzati nei loro ruoli e non riescono a creare sorrisi e risate. Anzi, in numerose occasioni, le situazioni che devono affrontare sono al limite del ridicolo e sono quasi imbarazzanti. Improntante su battute vecchie e su chichè che nel 2019 non funzionano in un mondo globalizzato e “internazionale” (come la situazione sulle auto inglesi dove il volante è a destra). Inoltre, per introdurre un personaggio femminile tra le file dei protagonisti, sono state inserite delle banali battute “femministe” (perché si chiama Men in Black, quando ci sono anche donne?).

In sostanza, questo nuovo capitolo fa acqua da tutte le parti. Insalvabile da ogni punto di vista, Men in Black International è una grandissima delusione. Un film pessimo costruito seguendo una comicità stantia e banale. Gli snodi narrativi sono figli degli anni Novanta e non presentano nulla di originale in un franchise ormai logoro che avrebbe necessità di reinventarsi. Goffo nell’azione, non punta nemmeno sulla spettacolarità degli alieni. A livello di ritmo è lento, compassato e noioso. Manca fluidità nell’azione e la narrazione sembra ingolfata delle repentine (e scadenti) gag. Una pellicola mal costruita e che non riesce a svincolarsi dai capitoli originali.

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