La regista Manuela Teatini ci porta alla scoperta del mondo dell’arte contemporanea da un punto di vista inedito e originale come pochi altri.

La sezione Biografilm Art&Music, all’interno del Biografilm Festival-International Celebration Of Lives, regala ogni anno alcune perle dedicate al mondo delle arti e dei mestieri legati ad essa.

Vedere Massimo Minini The story of a gallerist, della regista Manuela Teatini, vuol dire soprattutto questo. Ma se pensate di assistere ad un semplice documentario biopic, come già tanti altri visti in questa edizione, vi state sbagliando di grosso.

Il film è soprattutto il resoconto di una giornata-tipo della vita di un gallerista. Non uno a caso, certamente, ma il fondatore, negli anni 70, del famoso Banco di Brescia (oggi Galleria Massimo Minini), uno dei luoghi più incredibili del mondo, un posto dove non solo si mostra e si conserva l’arte (come si fa in numerose altre gallerie d’arte in tutto il mondo) ma un luogo dove l’arte viene anche “vissuta” e “creata”.

Non si tratta in senso proprio di un biopic o di un omaggio a una personalità che ha contribuito a far conoscere l’arte contemporanea (in particolare l’Arte Povera e la Fotografia) non solo all’interno del ristretto gruppo di appassionati ed intenditori a cui sembravano destinate ad essere relegate.

Fondatore e redattore della rivista FlashArt, Minini inizia come critico d’arte. Ancora oggi i suoi scritti e la sua abilità nelle parole viene costantemente apprezzata (non sono poche le personalità intervistate e gli ospiti che declamano le sue qualità di scrittura e di pensiero).

In effetti, se si guarda al documentario (un lavoro di editing immenso che cerca di condensare in un ora un girato di circa 20 ore!) ci si accorge subito che non è tanto la figura di Minini il vero soggetto della pellicola. O meglio, il discorso parte da lui e dalla sua esperienza. Ma, forse per deformazione professionale, di una persona abituata a parlare più del lavoro degli altri che non del suo, o forse per una scelta voluta, il documentario diventa ben presto un vero e proprio compendio di arte contemporanea, in cui ai ricordi di Minini si mescolano i racconti di come sono nate le grandi opere d’arte esposte e le mostre che, col passare del tempo, hanno fatto grande la Galleria di Brescia.

Si tratta di un’unica lunga riflessione continua su cosa sia l’arte (l’oggetto artistico, per la precisione) e della sua funzione al giorno d’oggi, in un mondo che pesa le opere d’arte più per il loro valore economico che non tanto per i loro contenuti. Un concetto ribadito più volte dallo stesso Minini proprio nel luogo più impensabile dove queste parole potrebbero essere udite. durante una fiera dell’arte!

Ma la personalità e il personaggio di Minini è esattamente questo: un profondo e appassionato conoscitore dell’Arte in tutte le sue sfaccettature. Un contenitore di aneddoti e conoscenza che non esita a descrivere e a raccontare storie del mondo che lui stesso a contribuito a creare.

Si tratta della testimonianza di un grande esperto e luminare del proprio campo che ha attraversato, con il suo lavoro, mezzo secolo di innovazione artistica e per questo motivo merita sicuramente una visione nonostante all’inizio lo stile caotico del racconto tenda a far perdere, in alcuni momenti, il filo del discorso.

Si tratta però di un errore inevitabile dovendo stare continuamente appresso a una personalità così vulcanica, per cui si può affermare con tranquillità che il documentario non sarebbe potuto essere fatto diversamente.

L’unico modo per approcciarsi a questo documentario è in realtà proprio quello di non approcciarsene per forza ma di lasciarsi guidare dai discorsi e dalle azioni del suo protagonista principale, aprendo gli occhi, ma soprattutto la mente, alle suggestioni che questo suggerisce di volta in volta. Meglio ancora, quindi, se non si hanno conoscenze approfondite del mondo dell’arte contemporanea. Solo così infatti la visione risulterà ancora più autentica (e comunque non c’è pericolo di annoiarsi!).

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