Dopo quasi sessant’anni di carriera e decine di lavori alle spalle, riuscire a dirigere un film anche solo pregevole diventa un’impresa di grande difficoltà. Marco Bellocchio va oltre e con Il traditore realizza un’opera memorabile. La trama è basata sulle vere vicende, e le relative conseguenze, che portarono il mafioso Tommaso Buscetta (Pierfrancesco Favino) a collaborare con la giustizia, divenendo il primo pentito di mafia e permettendo la prima grande sconfitta dell’organizzazione criminale siciliana.
Una storia così densa di eventi ha portato il film a durare ben due ore e mezza, che tuttavia risultano quasi impercettibili durante la visione. Il traditore infatti è talmente curato nel ritmo, nella regia, nella fotografia, e in generale in tutti gli aspetti filmici, da scorrere senza difficoltà dall’inizio alla fine. Favino interpreta Buscetta con tutta l’intensità che si confà ad un criminale sulla via del pentimento, e gli altri attori non sono meno efficaci nei loro ruoli. Il Totuccio Contorno di Luigi Lo Cascio, i mafiosi più caratteristici e “pittoreschi”, la serietà di Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi): tutti contribuiscono a mettere in piedi una storia che attraversa in totale quasi 20 anni, intrecciandosi con la cronaca italiana del periodo.
Il traditore passa agilmente dal dramma biografico a quello giudiziario, ma non si limita a seguirne le regole in maniera stringente. La varietà di minuzie linguistiche del film è notevole. Da un brevissimo flashback negli anni Settanta, totalmente irrilevante per la trama, al contatore delle morti nella guerra tra mafie dei primi anni Ottanta, Bellocchio gioca con il suo pubblico stuzzicandolo e costringendolo al ragionamento; il tutto mantenendo sempre un controllo totale sulla sua storia. Colpisce particolarmente la sequenza del maxiprocesso a Palermo. La confusione, l’indisciplinatezza degli imputati, i momenti in cui l’irriverenza si fa commedia, i litigi, la difficoltà dei magistrati nel capire il dialetto troppo accentuato di Contorno. Il più grande processo penale di sempre ricorda in tutto e per tutto un episodio di un qualunque talk show italiano della fascia pomeridiana. Ciò che rende grande il film tuttavia sta anche in questo. Tramite l’utilizzo di un linguaggio narrativo del genere, Bellocchio riesce a rendere perfettamente l’idea della distanza tra gli imputati e coloro che li giudicano, e costruisce una sequenza specchio del caos che sarebbe stato generato dal maxiprocesso di lì a poco.
Sempre centrale è comunque il Buscetta di Favino, le cui tragedie personali legano tutti gli eventi che Il traditore presenta. Emigrato per sfuggire all’ira di Totò Riina (Calì Nicola), collabora con la giustizia dopo la cattura per tentare vendicarsi e inizia il suo percorso di decadenza dopo aver puntato il dito contro la figura sbagliata, rimanendo in attesa dell’inevitabile fine. Il suo viaggio non appartiene a un eroe positivo; è avviato dal mero istinto di autoconservazione e sempre segnato dalla vendetta. Non a caso si concluderà in maniera anticlimatica, con la morte del pentito esule in Florida. Una vita reale che anche nel film di Bellocchio viene sviluppata con grande coerenza interna.
Scrivi