L’epopea di Game of Thrones è quasi al termine: The Bells, quinto episodio di questa ottava stagione, è il penultimo della serie e necessariamente deve presentare scelte di trama radicali. Tuttavia ciò non significa che si debba stravolgere l’inimmaginabile nell’esporre tali scelte. Con la sceneggiatura di questo episodio, gli showrunner David Benioff e D. B. Weiss sembrano avere del tutto ignorato un simile ragionamento.

Crudele ironia, The Bells potrebbe essere ritenuto un’opera dal valore notevole se fosse preso come lavoro a sé. La spettacolarità non manca e gli interpreti risultano tutti ben inseriti nel contesto. Essi presentano versioni estremizzate e monocordi delle loro personalità, o meglio degli sviluppi più recenti di queste ultime. In una storia indipendente dal ritmo così serrato, avrebbero funzionato come un qualunque eroe action hollywoodiano di poche parole e molti fatti.

The Bells però giunge alla fine di un percorso durato otto anni e decine di episodi. La caratterizzazione dei suoi personaggi, evolutasi nel corso di questo lungo periodo, viene praticamente ignorata. Tyrion, Jon, Daenerys, Arya, Jamie, Cersei: basta osservare la performance di uno qualunque dei personaggi principali per accorgersi di come tutte le qualità che li contraddistinguevano vengano quasi messe da parte. Sotto questa luce, ricorda terribilmente le battute finali di How I Met You Mother, serie diversissima da Game of Thrones ma che giunta alla conclusione vedeva un’apparente noncuranza verso l’evoluzione caratteriale dei suoi protagonisti.

Sul versante positivo, è da notare come i due Stark presenti alla battaglia campale detengano un ruolo fondamentale di vera e propria testimonianza. Durante il massacro della battaglia, è attraverso i loro occhi che vediamo l’orrore. Il loro carattere risoluto ma misericordioso, chiaro come il giorno in The Bells, li rende il tramite perfetto per creare identificazione e mostrare al pubblico cosa rappresenta la guerra sul campo. La stessa regia li valorizza, grazie a stacchi di montaggio efficaci e piani sequenza che permettono piena immersione nella tragicità degli eventi.

I lati positivi non bastano comunque a tenere a galla un episodio come The Bells, grondante di discutibili scelte di messa in scena (il cavallo bianco?) e di trama. La criticatissima svolta di metà episodio è solo una tra le tante, ma paradossalmente è forse una delle più giustificabili. Vari dialoghi degli episodi precedenti lasciano intendere che anche qualora Daenerys dovesse riuscire ad ottenere la corona dei Sette Regni, non godrebbe comunque del sostegno dei sudditi. Tutti le preferirebbero Jon, amato dal popolo nonché vero erede legittimo al trono. Non è perciò da escludere che la sua scelta sia stata dettata da un’effettiva pianificazione, piuttosto che da un’improvvisa, seppur credibile, pazzia. Anche se tale teoria si rivelasse esatta, ciò comunque non eliminerebbe tutte le incongruenze e leggerezze presenti nell’episodio.

La perfetta metafora del rapporto tra il Game of Thrones attuale e il suo pubblico è data da una delle battaglie che i fan più attendevano e che in The Bells viene finalmente mostrata: quella tra Sandor Clegane, “il Mastino” e suo fratello Gregor, “la Montagna”. Quest’ultimo, ormai oltre l’umano, subisce qualsiasi attacco e ferisce ripetutamente il Mastino. Nonostante gli sforzi di Sandor, sopravvive senza vere conseguenze anche ai danni più mortali, al di là di ogni logica di un tradizionale combattimento tra umani. Appurata l’impossibilità di ottenere una vittoria totale, Sandor attacca la Montagna nell’unico modo possibile, sacrificandosi.

È proprio questo che è successo agli spettatori fidelizzati di Game of Thrones: essi hanno cercato in tutti i modi di sopraffare con il ragionamento un prodotto che da anni sembra ignorare la maggior parte delle scelte razionali. Resosi conto di come l’approccio della serie renda impossibile un confronto leale, il pubblico non può che abbandonare la sfida e arrendersi, rinnegando (“uccidendo”) il proprio amore per la serie in un processo dal carattere inevitabilmente autodistruttivo.

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