I due film realizzati da Nicholas McCarthy nella prima metà del decennio gli hanno permesso di ritagliarsi uno spazio, per quanto risicato, nel panorama del cinema horror contemporaneo. The Pact (2012) e Oltre il male (2014) hanno mostrato le potenzialità del loro autore, ma nonostante il successo commerciale non sono riusciti a conquistare una propria identità, perdendosi nel mare di film orrorifici ormai sempre più presenti in sala. Lo stesso destino è toccato al suo ultimo lavoro The Prodigy – Il figlio del male (2019). Il film narra di Miles (Jackson Robert Scott), un bambino prodigio dalla psiche turbata che si rivela essere la reincarnazione di un temutissimo serial killer ucciso pochi minuti prima della sua nascita. Sarah e John (rispettivamente Taylor Schilling e Peter Mooney), madre e padre di Miles, cercheranno in tutti i modi di capire i problemi del figlio, pronti a qualunque sacrificio pur di risolverli.

È quasi un peccato guardare The Prodigy fino alla fine. Tutte le idee interessanti della prima parte di trama finiscono infatti per essere eclissate dai difetti che, minuto dopo minuto, si accumulano. Schilling e Scott giocano bene le carte dell’inquietudine, trasmettendola sia direttamente che per semplice empatia, e diverse trovate registiche risultano visivamente efficaci. Basti pensare all’analogia tra il cadavere crivellato del serial killer e l’appena nato Miles, separati da un singolo cambio d’inquadratura che, grazie alla congruenza tra le macchie di sangue sui due personaggi, li porta a giustapporsi. Oppure all’ombra di un Miles ormai bambino, ripresa in modo da enfatizzare le dimensioni della testa, casa ospitante una mente geniale. Parlando di intere sequenze, la seduta di ipnosi tra Miles e l’esoterista Arthur (Colm Feore) risulta anch’essa funzionalissima nel mostrare la diabolicità dell’insospettabile antagonista.

Purtroppo questi momenti si rivelano essere solo schegge di brillantezza in un terreno composto da incongruenze, dialoghi ridondanti e cattiva gestione degli eventi. Oltre che per i banali inciampi rintracciabili in altre centinaia di film horror, The Prodigy soffre anche a causa del suo antagonista, talmente magnificato da piegare l’intero film a suo unico favore. La trama naufraga spesso in situazioni paradossali, solo a volte risolte, perché tutti i comprimari di Miles risultano impotenti nei loro tentativi di fermarlo. La loro debolezza percepita, causata dal confronto con un avversario così superiore, finisce col risultare frustrante per chi guarda. Il finale è un colpo definitivo nel quale ogni possibile stortura avviene simultaneamente. C’è da dire che al termine della visione The Prodigy lascia turbati, riuscendo in effetti in quello che nel cinema horror è un obiettivo comune. Il problema è che il turbamento avviene per i motivi sbagliati.

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