Torna la serie di Millennium al cinema, dopo il primo capitolo (made in usa) del primo libro “originale” scritto da Stig Larson, Millennium: Uomini che odiano le donne. Quell’episodio è stato diretto da David Fincher, un maestro del thriller, che ha realizzato una versione fedele al romanzo ma che non ha colpito il pubblico americano e non ha incassato abbastanza per giustificare un secondo capitolo. Per questo motivo, Sony ha deciso di rilanciare il popolare franchise optando per il primo dei due sequel postumi scritti da David Lagercrantz.

Il cast sia tecnico che di attori cambia completamente. Questo nuovo episodio è slegato al precedente ed è fondamentalmente un reboot. Anche se, tecnicamente, è un sequel. Fede Alvarez subentra in cabina di regia e il ruolo principale dell’hacker Lisbeth Salander viene affidato alla “regina” Claire Foley.

Il film è molto avvincente e ha un ottimo ritmo con scene spettacolari. Fluido e godibile dal punto di vista dell’intrattenimento, il film asciuga l’enorme mole di intrighi della trama del romanzo e punta tutto sulla protagonista più interessante: Lisbeth. Difatti, nei libri il punto di vista è quasi sempre focalizzato su Mikael, il capo della rivista mentre la giovane hacker ha il ruolo di co-protagonista. In questa nuova versione cinematografica si decide di puntare tutto sulla figura femminile raccontando il suo background attraverso la sua relazione con la sorella Camilla. Tale relazione veniva esplorata in altri libri (secondo e terzo della trilogia originale) ma in questo nuovo episodio filmico si decide di ricontestualizzare tutto e perciò si riparte dall’ABC, ricalibrando il personaggio di Lisbeth.

Lisbeth Salander è il personaggio più interessante ma è ancore quello dalla psicologia più complessa. Le sue motivazioni sono difficili da adattare sul grande schermo in maniera fedele e così, per questo nuovo adattamento si decide di ripartire da zero mostrando la “nascita” del suo personaggio riconducendo il tutto attraverso il suo trauma con suo padre, un pericoloso criminale. Quindi spigata, attraverso una scena, il suo credo e la sua avversione verso gli “uomini che odiano le donne”.  Perciò, la pellicola si conferma sintetica ed efficace dal punto di vista della caratterizzazione del personaggio secondo il diktat “less is more”.  Tutto ciò ha reso la narrazione più scorrevole.

Certo, tale snellimento ha portato a delle conseguenze sia dal punto di vista che nella costruzione dei personaggi, quasi completamente reinventati. La trasformazione più evidente riguarda il personaggio di Mikael Blomkvist che viene ringiovanito e messo in secondo piano. Le sue caratteristiche vengono mantenute ma il giornalista non ha più il pallino della narrazione ed è stato relegato al ruolo di spalla. Questa è l’unica pecca del film in quanto il personaggio viene svuotato dal carisma e non è più autorevole come nei libri. La stessa Lisbeth viene “ripulita”, meno piercing e meno “introversa”. La sua natura psicologica viene eliminata e abbreviata in una semplice figura di pericolo hacker.

Nonostante tutti questi cambiamenti, Millenium – Quello che non uccide funziona e si conferma un ottimo thriller ricco di momenti interessanti e con degli snodi narrativi efficaci e veloci. Tiene un buon ritmo e il tutto scorre via senza monotonia. Non ci sono pause evidenti e gli atti sono ben scanditi.  In particolare, il film ha il giusto equilibrio tra azione e momenti introspettivi/emozionali. Fluido e ricondotto a costruzioni psicologiche semplici ma di facile comprensione. Molti personaggi vengono sacrificati per focalizzarsi interamente su Lisbeth ma in un film di due ore non c’è spazio per altro

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