Chi, la sera dell’11 giugno 2018, si trovava al Teatro Greco di Siracusa per vedere lo spettacolo unico Conversazione su Tiresia, scritto e interpretato da Andrea Camilleri, sarà stato sicuramente colpito da un particolare: il sincero affetto del pubblico per lo scrittore e regista siciliano. Accolto da una spontanea standing ovation, il novello attore, che ha debuttato a 92 anni, si è fatto guidare sul palco fino a raggiungere la sua postazione, da dove ha incantato un pubblico di quasi cinquemila spettatori. Ora quello spettacolo è diventato un film e Conversazione su Tiresia sarà proiettato al cinema come evento speciale il 5, 6 e 7 novembre, distribuito da Nexo Digital.

A presentarlo alla Casa del Cinema di Roma è stato lo stesso Camilleri, accompagnato dalla fedele Valentina Alferj, curatrice dello spettacolo, e dal produttore Carlo Degli Esposti, fondatore della Palomar. Accanto a loro i registi Roberto Andò e Stefano Vicario, che si sono occupati della regia teatrale e televisiva, il flautista Roberto Fabbriciani, e Franco di Sarro, amministratore di Nexo Digital.

«Volevo affrontarmi. – spiega subito Camilleri – Stare da solo su quell’immenso palcoscenico del teatro greco di Siracusa, cieco, e raccontare una storia per un’ora e mezza è una grossa sfida che io volevo fare a me stesso. Ho scoperto che il personaggio di Tiresia, che per la prima volta conosciamo nell’Odissea di Omero, ha percorso tutta la letteratura, italiana e non, da allora ai giorni nostri, ininterrottamente. Ho impiegato tre mesi a farmi largo in questa foresta e a scegliere i punti salienti. I testi e le citazioni fatte sono solo un terzo di quelle avute tra le mani. Sono riuscito a organizzare il discorso e a trovare il tono con cui intrattenere quattromila persone. E finalmente ho trovato questo tono da conversazione tra amici».

«Ho scelto Tiresia – continua – perché malgrado la cecità egli riesce a vedere non solo il presente, ma anche il futuro. Io ero nella mia nuova situazione di cieco e ho avuto come un’illuminazione. Sostengo che da quando ho perso la vista vedo le cose più chiaramente».

Sulla serata siracusana non nasconde la sua forte emozione: «Ci sono dei luoghi magici che sono come navi spaziali, ma si muovono nel tempo, invece che nello spazio. Sono cattedrali, sono templi, sono vecchi teatri. La commozione di stare seduto su un palcoscenico dove c’è stato un signore che si chiamava Eschilo è una commozione interiore profonda, proprio l’eternità».

Su questa eternità si sofferma anche il regista Roberto Andò: «Andrea è riuscito a stabilire una familiarità con l’eterno. È un raccontatore straordinario e questa è stata l’esperienza più emozionante della mia carriera. È qualcosa che va al di là del lavoro».

E sulla direzione dello spettacolo afferma: «Io mi sono messo al fianco di Andrea a fare lo spettatore. Si è sottoposto alla disciplina di un attore, aveva una grande consapevolezza di quello che faceva, essendo attore di sé stesso, e ha fatto una performance che pochi potrebbero fare. Io lo trovo un attore ideale».

Camilleri ricorda poi la sua lunga esperienza a teatro e racconta: «Io ho dedicato molta parte della mia vita al teatro, ho insegnato recitazione e regia. Quella che è l’arte dell’attore l’ho praticata, non esibendomi davanti al pubblico, ma dietro le quinte. Sono stato attore attraverso le centinaia di attori coi quali ho lavorato. Questa è una summa definitiva della mia esperienza teatrale».

A proposito della trasposizione cinematografica dello spettacolo, dice Valentina Alferj:  «Spero che la ripresa cinematografica possa avervi dato l’emozione che c’era quel giorno, perché c’era Andrea che era la voce, c’era il teatro e c’era il pubblico, che era davvero strabiliante. Noi siamo entrati in quel teatro con quattromila persone e si sentivano le cicale, c’era un silenzio assordante che io non dimenticherò mai».

Dello stesso parere è Stefano Vicario: «Faccio da anni il regista televisivo e ne ho viste di tutti i colori. Questa volta è stato diverso. Ho sentito di essere testimone di un evento che quasi mai accade. Sapevo che sarebbe stato irripetibile. L’emozione era talmente tanta che dovevo forzare me stesso a fare il lavoro che faccio e non a seguire soltanto a bocca aperta quello che stava accadendo. La regia televisiva è una sorta di astronave che si stacca dalla realtà e tutto viene mediato attraverso i monitor. Questa volta è stato come lasciare la navicella e scendere in una dimensione diversa, che sgretolava i monitor che avevo davanti e diventava un’emozione unica».

In Conversazione su Tiresia Camilleri, da buon “contastorie” («non cantastorie, perché non so cantare» ha detto una volta), condensa in un unico luogo il mito, la storia, la poesia, attraverso un racconto, una conversazione appunto, ricca di ironia, di sentimento e di pathos. Il Tiresia camilleriano si confronta con una serie di scrittori e poeti che nel corso dei secoli lo hanno raccontato, amandolo o diffamandolo. E proprio con loro ripercorre la sua trasformazione, da uomo a donna, da persona a personaggio, da indovino a impostore. E così in breve tempo Camilleri passa da Omero a Callimaco, da Orazio a Seneca, per arrivare in pieno Medioevo con il “vostro padre Dante, dico vostro perché per fortuna io sono tebano”. E poi ricorda Poliziano, che trasforma Tiresia in un poeta autentico per il fatto che le sue predizioni erano in versi, e Pietro Aretino, John Milton. Per arrivare infine ai giorni nostri, attraverso Guillaume Apollinaire, Jean Cocteau, Virginia Woolf, Cesare Pavese, Ezra Pound, T. S. Eliot, Primo Levi e, per ultimo, Woody Allen.

A dimostrare che il fascino di Tiresia, simbolo di ambiguità e metamorfosi per eccellenza, ha resistito al tempo e allo spazio.

Camilleri, sul finire della conferenza stampa, non nasconde un suo desiderio per il futuro: «Penso sinceramente che sia arrivato il momento di cedere le armi alle donne. Io, come ex uomo, mi sento già esausto. Penso che sia l’ora che il mondo venga dominato dal modo di pensare femminile. Hanno una cosa che noi uomini non abbiamo, fanno i figli. Sono la grande matrice dell’universo. E questo qualcosa significa. Significa che prima di farci del male loro ci penseranno di più di quanto siamo abituati a pensarci noi. Loro sono disposte al compromesso più di quanto lo siano gli uomini».

Infine, su un suo possibile ritorno sul palco, scherza: «Perché no? Voglia ne avrei, perché si prova un’emozione rara, ma ipotizzarlo di farlo a 94 anni (perché tanti ne avrò) è azzardato. Lo posso fare per scaramanzia. Quando m’hanno dato il passaporto che scade nel 2024 io ho ringraziato i poliziotti, sentitamente».

Fiorenza Petrocchi

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