La possibilità di redimersi e il reinserimento nella società sono argomenti sui quali è possibile costruire infinite storie, grazie alla loro vicinanza con la realtà di tutti i giorni. Il clan dei ricciai, documentario diretto da Pietro Mereu e prodotto dai noti attori Matteo Branciamore, Eros Galbiati, Primo Reggiani e Nicolas Vaporidis, attinge direttamente a questa realtà. Ad essere raccontate sono le vicende di alcuni ex-detenuti residenti a Cagliari e il loro tentativo di ricominciare a vivere sotto il segno dell’onestà; le difficoltà nel trovare un impiego li spingono verso la rischiosa attività di pescatori di ricci di mare, ricciai appunto.

Nonostante le condizioni proibitive impostegli dagli intervistati, tra le quali un limite di tempo di dieci giorni per girare tutto il materiale, Mereu svolge un ottimo lavoro di regia. Anche non considerando le particolarità del soggetto che tratta, il film risulta dinamico e ben attento ai tempi narrativi, con inquadrature ben studiate che rendono il tutto molto fluente. Volendo invece parlare dell’argomento e dei suoi protagonisti, bisogna ammettere che è inevitabile non interessarsene anche solo un minimo. Gli ex-detenuti si organizzano sotto la guida di Gesuino, il capo dell’attività di pesca dei ricci, in un vero e proprio gruppo coeso, un clan appunto, nel quale si sostengono a vicenda.

Traspare una forte umanità dagli appartenenti al clan. Sono di certo uomini che nella vita hanno commesso errori; ma il passato li perseguita anche dopo lo sconto delle loro pene, dato che quasi nessuna azienda decide di affidare loro un lavoro. Il loro bisogno di cambiare è tuttavia più forte di quanto si possa immaginare, e pur di non ripiombare nel mondo della criminalità decidono di lavorare per Gesuino, in modo da poter andare avanti con la speranza di riuscire a ricostruirsi una vita onesta tramite impieghi futuri. Il discorso che Il clan dei ricciai porta avanti si sposta anche sulle condizioni dei detenuti in Italia. Il periodo di detenzione ci viene raccontato dalle parole di chi lo ha vissuto, e ne emerge una situazione chiaramente problematica, che spesso e volentieri non contribuisce neanche in minima parte alla riabilitazione dei carcerati.

Necessario citare la presenza nel film di Joe Perrino. Artista rock e autore delle canzoni che formano la colonna sonora del documentario, parla al pubblico delle vicende di malavita che avvengono a Cagliari, con una precisione e una conoscenza che lasciano credere, erroneamente, che anch’egli sia stato un criminale. Le sue “canzoni di malavita”, comunemente a generi d’oltreoceano come il gangsta rap o il narcocorrido messicano, mettono in melodia storie criminali, e rappresentano fedelmente lo spirito del film. Infatti queste canzoni, storie di crimine scritte da chi con il crimine non ha nulla a che fare, mostrano come sia possibile emanciparsi dall’illegalità, in tutte le sue forme, e restarne separati: esattamente ciò che stanno facendo gli appartenenti al “clan dei ricciai”.

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