Chi, negli ultimi dieci anni, ha seguito più o meno attentamente l’andamento del cinema italiano, saprà di certo che Matteo Rovere è uno di quei nomi da tenere sempre in considerazione, che sia nei panni di regista, di sceneggiatore o di produttore.

Rovere ha la capacità di spiccare fra tutti sulla scena italiana contemporanea per quella sua attitudine alla sperimentazione e alla sfida che lo rendono davvero un personaggio unico nel suo genere. Ma è la fiducia in sé, nei suoi progetti e nei suoi collaboratori il vero punto di forza del suo lavoro, perché crede davvero che un cinema italiano diverso e migliore sia possibile. E l’ha dimostrato con il suo ultimo lungometraggio, Il primo Re, di cui ha firmato la regia, la sceneggiatura (insieme con Francesca Manieri e Filippo Gravino) e la produzione (con Andrea Paris).

Il primo Re è un film di cui si è sentito parlare già da tempo. La storia raccontata è quella leggendaria dei due fratelli Romolo e Remo, rispettivamente interpretati da Alessio Lapice e Alessandro Borghi. Dopo essere stati travolti dall’esondazione del Tevere, i due fratelli vengono catturati dalle genti di Alba. Riusciti a salvarsi grazie alla loro complicità e d’accordo con altri compagni, conducono con loro la vestale Satnei (Tania Garribba), colei che porta il fuoco sacro, e vanno in cerca di un territorio dove potersi stabilire. Remo si dimostra un abile condottiero, capace di guidare i suoi compagni e sconfiggere gli avversari, mentre Romolo resta in disparte e semi-incosciente a causa di una ferita. Ben presto, le diverse inclinazioni dei fratelli li porteranno a compiere delle azioni che segneranno per sempre il loro destino. «L’idea è stata quella di costruire un film mai affrontato prima – spiega Matteo Rovere in sede di conferenza stampa –. Ho voluto raccontare cosa succede quando il destino è più forte di te e cosa fa su di noi e sui nostri sentimenti».

Il film di Rovere può essere considerato letteralmente eccezionale, nel senso che è un’eccezione nella produzione italiana, per una serie di elementi che lo contraddistinguono da altri film.

Innanzitutto perché è un film in lingua, ma non in una lingua qualsiasi, bensì in latino, o meglio, in latino arcaico, in ogni caso in una lingua che, da quando non si indossano più toghe e calzari, suona innaturale alle nostre orecchie. Gli sceneggiatori si sono avvalsi dell’aiuto di linguisti e latinisti per ricostruire una lingua non attestata, ma che con molta probabilità era parlata al tempo in cui vissero i protagonisti. Eppure, se per la prima mezz’ora i nostri occhi devono seguire i sottotitoli, dopo un po’ – e se si ha avuta la fortuna di studiare il latino – ci abituiamo a riconoscere parole come hodie, regem, fratre. Ma non solo. Sembra che riusciamo ad anticipare mentalmente quello che stanno per dire i personaggi (non in latino, però!) grazie alla spontaneità dei gesti e al naturale susseguirsi degli eventi.

Altro grande elemento distintivo è la fotografia, affidata a Daniele Ciprì, il quale ha utilizzato solo la luce naturale per ricreare un’atmosfera estremamente realistica, in quel paesaggio che sembra (anzi è) il suolo italico su cui poi sarebbe stata fondata la città di Roma.

Il film è molto crudo, le scene di violenza non vengono risparmiate e conferiscono tratti epici alla narrazione, motivo per cui la recitazione degli attori è quasi tutta fisica, ma magnificamente coniugata con quella verbale.

Alessandro Borghi nei panni di Remo è il vero protagonista della vicenda: nella prima parte lo vediamo amorevole e premuroso col fratello ferito, poi diventa sempre più autoritario e desideroso di potere. Alessio Lapice, ovvero Romolo, invece per buona parte del film resta in secondo piano, perché ferito nello scontro iniziale. Si delinea però sin da subito la visione antitetica dei due fratelli: uno, Romolo, rispettoso del volere degli dei, l’altro, Remo, più razionale e fermamente deciso a scrivere lui stesso il proprio destino.

«Quello che porta i due fratelli a essere diversi è l’accettazione del destino – afferma Borghi -. È fondamentale il concetto di comunità: chi decide di farne parte è quello che trionfa. L’individualismo fallisce sempre».

Il film è una produzione Groenlandia con Rai Cinema, in coproduzione con Gapbusters e in associazione con Roman Citizens ed è distribuito da 01 Distribution. Uscirà in sala il 31 gennaio 2019.

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