Nel mondo dell’intrattenimento esistono numerosi titoli che automaticamente richiamano la magia del Natale; se tra i classici della cinematografia moderna non si può non citare Una poltrona per due o Nightmare before Christmas, e nella letteratura Christmas Carol di Charles Dickens, per quanto riguarda la danza è inevitabile pensare alle inconfondibili note de Lo Schiaccianoci, leggendario balletto del 1892 musicato da Pëtr Il’ič Čaikovskij. Con un paio di mesi in anticipo rispetto alle vacanze natalizie, la Disney propone la sua versione di questo bellissimo racconto con Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni, per la regia di Lasse Hallström e Joe Johnston.

In una Londra coperta di neve, Clara e la sua famiglia si apprestano a festeggiare il Natale nonostante il dolore per la recente perdita della madre, Marie. La ragazzina riceve in eredità da quest’ultima uno scrigno a forma di uovo, impossibile da aprire perché privo della sua chiave. Alla ricerca del prezioso oggetto, Clara si troverà catapultata in un mondo fantastico, dove sua madre, anni prima, era stata nominata Regina, e sarà chiamata a fermare una guerra in atto tra i reggenti di tre reami – dei Dolci, dei Fiocchi di Neve e dei Fiori – contro Madre Cicogna, sovrana di quello dei Divertimenti.

Sebbene la sceneggiatura ad opera di Ashleigh Powell e Simon Beaufoy (premio Oscar per The Millionaire) racconti una storia autonoma e inedita, il legame con le vicende narrate nel balletto di Čaikovskij rimane ben saldo e viene oltretutto esaltato con la splendida performance di Misty Copeland, prima ballerina dell’American Ballet. Viene inoltre omaggiato il racconto originale, Lo Schiaccianoci e il Re dei topi scritto da E.T.A. Hoffmann nel 1816, all’interno del quale la protagonista, Marie, sogna di ritrovarsi nel Regno delle Bambole accanto al soldato Schiaccianoci, per divenirne poi la Regina. Ecco dunque che Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni diviene una sorta di ipotetico prosieguo del nucleo narrativo d’origine, dando però alla giovane Clara le caratteristiche di un’eroina moderna. La ragazza, infatti, è appassionata di meccanica e fisica, è in grado di cavalcare, portare un esercito a combattere, arrampicarsi sulle scogliere, ma soprattutto di cavarsela con le proprie forze, intraprendendo un percorso di crescita interiore verso l’età adulta, acquisendo fiducia nelle proprie capacità e superando il dolore della perdita della genitrice.

Accanto a Mackenzie Foy, che interpreta Clara, troviamo Morgan Freeman. nei panni dell’inventore Drosselmeyer, e due signore del cinema, Hellen Mirren e Keira Knightley, rispettivamente Madre Cicogna e Fata Confetto, qui impegnate in un testa a testa. La Knightley, in particolare, si cala perfettamente nel ruolo di una Fata Confetto inedita, tanto isterica e vendicativa quanto charmant.

Eppure la vicenda non riesce ad andare oltre il godibile, tralasciando e sottostimando alcuni spunti narravi molto interessanti, come il rapporto tra Clara e Schiaccianoci (Jayden Fowora-Knight), che nonostante dia il titolo al film è insipido e marginale, oppure la rivalità tra le due reggenti, che non viene mai concretizzato. Non è ben chiaro inoltre il motivo per cui l’ambientazione si sposti dalla Germania all’Inghilterra, benché i nomi dei personaggi restino quelli originali e siano chiaramente tedeschi. Ma il vero, tangibile difetto di scrittura, come per Alice in Wonderland di Tim Burton, è quello di dare per scontato gli episodi precedenti alla storia narrata, sperando che farne semplicemente menzione qua e là sia sufficiente a rendere partecipe lo spettatore.

Ovviamente i nei della sceneggiatura non possono che passare in secondo piano rispetto alla magnificenza della scenografia e alla ricchezza dei costumi, che evocano le atmosfere gotiche e freak del miglior Tim Burton, di Labyrinth e de Il mago di Oz, e che vengono accompagnate dalle sognanti e iconiche musiche di Čaikovskij.

Con Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni la Disney prosegue imperterrita il filone del restyling delle fiabe classiche, regalando allo spettatore un film assolutamente piacevole per gli occhi, ma rischiando di perdere gradualmente quel tratto di originalità che l’aveva sempre contraddistinta.

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