Sharp Objects è una miniserie statunitense trasmessa su Sky Atlantic. Si tratta di una serie limitata, interamente diretta dal canadese Jean-Marc Vallée  (Big Little Lies) e basata sul romanzo di Gillian Flynn.

Si tratta di una storia drammatiche con forti tinte noir. Una giovane giornalista (Amy Adams) ritorna nella sua piccola città natale per scrivere degli articoli su due ragazzine morte misteriosamente. Camille ritorna alla casa di famiglia ma i suoi traumi del passato riaffiorano ed emergono i sempre più frequenti contrasti con sua madre.

La miniserie si concentra prevalentemente sulle figure femminile e perlopiù sulla malattia e sui trami del passato. Sulla labile psiche umana e sulle conseguenze psci-fisiche che possono derivare da problemi psicologici. Inoltre, seppur in maniera estrema, tratta dell’autolesionismo per lenire conflitti interiori derivanti a traumi del passato. Un insormontabile senso di colpa che va scavato sotto pelle poiché non deve essere dimenticato. La miniserie è un lungo viaggio verso l’abisso mentale della protagonista da cui viene filtrata la storia cardine che, alla fine, si rivela un pretesto per parlare di argomenti poco noti e che riguardano perlopiù le donne. Inoltre, la serie si focalizza sul conflitto madre-figlia, sorella maggiore-sorella minore.

Per Camille il ritorno alla casa madre è l’aprirsi di una ferita mai cauterizzata. Un regresso verso un passato mai dimenticato e superato. A causa di una perdita in adolescenza si sente in colpa e perciò ha vissuto gli anni della maturità in conflitto interiore, portandosi un forte senso di senso di colpa, placato, in parte, dal masochismo. Crescendo è diventata una donna solitaria, alcolizzata e con enormi problemi di relazione. La storia presenta i suoi tormenti attraverso numerosissimi flashback che seguono un suo flusso di coscienza attraverso analogie tra presente e passato. Due binari distanti che ci permettono di visualizzare la fragile psiche di Camille. Quindi, proprio per accentuare questo delicato stato mentale, il passato della donna viene mostrato attraverso dei frammenti frammentati e confusi. Schegge di memoria spiazzanti e oscure. Perlopiù sono pezzi asincroni e non lineari; il compito di mettere insieme i pezzi del puzzle è del pubblico che è chiamato ad una ricostruzione completa della fonte del trauma. Episodio dopo episodio, vediamo il lento e progressivo percorso autodistruttivo di Camille.

La costruzione del racconto procede in modo lento e discontinuo. Si evince subito che non si tratta della classica storia della scoperta del serial killer. Sharp Object è perlopiù una narrazione su un microcosmo malsano e malevole. Il racconto di una vita di provincia che spettegola, è falsa ed è pronta a trovare un capro espiatorio per mettersi alle spalle la vicenda. Una comunità bigotta, chiusa e focalizzata sulle apparenze. Camille è turbata dalla ritrosia della comunità e per questo fatica a dimenticare il passato. Il tutto è dovuto, soprattutto, a sua madre, un’autoritaria e carismatica “leader” della comunità che, in modo sferzante, ha continui atteggiamenti ricattatori verso di lei.

La regia è impeccabile e si destreggia molto bene tra i numerosi piani temporali e confezione delle buone allegorie oniriche e allucinate. Anche gli interpreti sono molto abili ed emergono, prevalentemente, sia Amy Adams che Patricia Clarkson (sua madre). Il problema principale di Sharp Objects è la costruzione narrativa: troppo frammentata e discontinua. Spesso troppo diluita e spezzettata, non permette il godimento della storia e presenta numerosi buchi narrativi che fanno disperdere gli ottimi spunti di partenza. Il doppio binario scoperta dell’assassino/viaggio di superamento del trauma di Camille non sempre si conferma ben strutturato ed equilibrato. Ciò emerge, prevalentemente, negli ultimi episodi quando il punto centrale (lo svelamento) viene costruito attraverso vari piani temporali che richiedono una notevole attenzione per mettere insieme tutti i pezzi. Perciò, il terzo atto finale di questa macrostoria ha una risoluzione mal gestita e squilibrata che alla fine delude. Vero che alla fine, la conclusione ha un suo perché ed in linea con riferimenti psicologici delineali sin dalla prima puntata, tuttavia la troppa dilatazione e frammentazione non rendono godibile il tutto in quanto sembra che la storia “sia stata gonfiata”. Complessivamente rimane una miniserie complessa e ricca di numerosi contenuti ma sotto il profilo della soddisfazione risolutiva, lascia un po’ l’amaro in bocca. Sa di incompiuta.

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