Una storia senza nome è il nuovo film di Roberto Andò, presentato nella sezione Fuori Concorso alla 75a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Valeria (Micaela Ramazzotti) è la segretaria del produttore cinematografico Vitelli (Antonio Catania) e al tempo stesso la ghostwriter dell’acclamato sceneggiatore Alessandro Pes (Alessandro Gassmann).

Un giorno, un uomo misterioso le si fa vicino, sostenendo di avere una storia perfetta per essere narrata in un film che lei potrebbe benissimo scrivere, ma sempre in anonimato. L’uomo, Rak (Renato Carpentieri), un poliziotto in pensione, le racconta del misterioso furto (realmente accaduto) della Natività di Caravaggio, avvenuto a Palermo nel 1969 per conto della mafia, e delle novità che lo riguardano. Una volta iniziata la sceneggiatura, Valeria si ritroverà coinvolta in una situazione molto più grande di lei.

Con i suoi due lavori precedenti, Viva la libertà (2013) e Le confessioni (2016), Roberto Andò ci aveva abituato a fare i conti con personaggi ambigui, verità nascoste e forse mai totalmente svelate ed è per questo che, a pochi minuti dall’inizio del film, si ha già la sensazione che Una storia senza nome si ponga su quella scia. Vediamo infatti sin da subito una giovane donna che usa la maschera di timida segretaria per nascondere la sua vera identità di autrice di grandi sceneggiature, che consegna regolarmente all’uomo di cui è innamorata, senza prendersi alcun merito e nascondendo tutto perfino alla madre (Laura Morante) la quale, per quanto acuta e brillante, non sospetta nulla.

Presentata una protagonista a modo suo misteriosa, ma in fin dei conti innocua, è quindi necessaria una storia. E Andò la cerca nella cronaca. In particolare nella cronaca della sua città, Palermo, dove sul finire degli anni ’60 avvenne il furto della Natività di Caravaggio nell’Oratorio di San Lorenzo.

Solo adesso la trama inizia a diventare più complessa e a ingigantirsi, soprattutto quando compaiono i poteri forti e man mano emerge il legame tra politica e criminalità organizzata.

Una volta immersi nella storia sorgono spontanee alcune delle domande che ogni buon giallo porta inevitabilmente a fare: quanto di quello che vediamo (o leggiamo) può verificarsi nella realtà? Che cos’è che vogliamo ottenere da questa storia: semplicemente poter puntare il dito contro un colpevole o conoscere la verità a tutti i costi? E poi, qual è la verità? Ce n’è sempre una soltanto? Il film di Andò ha il merito di sollevare tutte questi interrogativi e in buona parte riesce anche a darne una soluzione.

Un piccolo neo del film è nella prima parte, quando si ha l’impressione che gli autori abbiano seguito una scaletta un po’ rigida: sembra infatti che il regista, attraverso una narrazione fin troppo esegetica di Rak, voglia fissare dei punti, degli step, per non far perdere allo spettatore il filo rosso della storia. Col proseguire della vicenda, tuttavia, ci si accorge, come nel più classico dei polizieschi, che il regista ha disseminato una serie di indizi che torneranno utili alle indagini quando ci si avvia verso il finale, dove i colpi di scena sono prevedibili, ma sempre di effetto.

Il film di Andò è piacevole, intrigante e perfino divertente e porta indubbiamente riflettere sulla storia del nostro Paese. Non tanto sulla sempre più scontata immoralità della classe politica italiana, quanto sul problema ormai improcrastinabile della tutela dei beni culturali. L’Italia, il cui patrimonio artistico è invidiato da tutto il mondo, è paradossalmente il Paese che sembra averne meno cura e le perdite, sia per cause naturali che per colpa dell’uomo, non fanno che aprire ferite sempre più gravi.

In Una storia senza nome Andò non perde l’occasione di celebrare l’arte tout court, compresa quella cinematografica, grazie a una serie di citazioni e riferimenti sparsi qua e là che solleticano le conoscenze degli appassionati di questa forma d’arte.

Per la cronaca: quello della Natività fu il primo furto su commissione eseguito dalla mafia. Ci sono diverse storie raccontate dai pentiti: qualcuno dice che la tela andò distrutta, qualcun altro che finì in pasto ai maiali, altri ancora dissero che i mafiosi la offrirono allo Stato in cambio di un ritocco dell’articolo 41 bis. La Natività, il cui valore si aggirerebbe oggi intorno ai 30 milioni di euro, è inserita nella lista dei dieci capolavori più ricercati dalle polizie di tutto il mondo.

Fiorenza Petrocchi

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