Il nuovo documentario di Wilma Labate, regista e sceneggiatrice famosa per i suoi film molto spesso scomodi e impegnati (tra gli altri: Lavorare stanca e Signorina Effe), è un vero e proprio urlo di dolore per una storia molto appassionante e coinvolgente che, tuttavia, è stata a lungo repressa e tenuta nascosta.

Arrivederci Saigon, in questi giorni in concorso a Venezia nella sezione Sconfini, è il racconto di una vicenda realmente accaduta durante uno dei conflitti più sanguinosi e “mediatici” del 900: la Guerra del Vietnam. Un conflitto che ha segnato (e tuttora segna) l’immaginario cinematografico e audiovisivo in generale, in quanto è stata la guerra più “filmata” della storia, quella di cui si sa quasi tutto e che è stata fonte d’ispirazione per numerosi artisti.
Per l’appunto si sa “quasi tutto”. E questo film di Wilma Labate è la dimostrazione che c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire anche in un argomento che sembrerebbe, a prima vista, trito e ritrito.

Anzitutto il punto di vista: la vicenda raccontata è una storia particolare perché prettamente italiana. Mentre in genere le pellicole che fanno riferimento  quel conflitto prendono il punto di vista degli americani o dei vietnamiti, questa storia riguarda un gruppo di ragazze italiane che, per caso, si ritrova in mezzo a quel conflitto. La guerra del Vietnam, forse per la prima volta, è dunque raccontata da un punto di vista esterno: quello dei civili.

La vicenda ha inizio negli anni 60, periodo storico di grande fermento sociale e artistico in cui l’Italia è invasa da artisti e band che suonano il beat, il nuovo genere musicale proveniente direttamente dagli USA (tra i più famosi i Dik Dik, gli Equipe 84 e I Giganti). In questo scenario musicale un produttore di Piombino, Ivo Saggini, ha l’intuizione di creare la prima band completamente femminile del genere, in contrapposizione alle band più in voga di allora che erano esclusivamente maschili.

Nascono così Le Stars composte da Rossella Carnaccini, Viviana Tacchella, Daniela Santerini, Manuela Bernardeschi e Franca Deni. Sebbene il loro genere sia leggermente diverso da quello che andava in voga all’epoca (la loro musica era più legata alla black music e al soul di Aretha Franklin), il gruppo ha un discreto successo e arrivano ad aprire i concerti di Gianni Morandi e dei Pooh, sempre presentando cover di pezzi americani e mai originali.

Il 1968 è un anno cruciale per la band in quanto il produttore Saggini organizza per loro un tour promozionale in Estremo Oriente che dovrebbe consacrare definitivamente la loro fama. Non si sa bene se per un malinteso organizzativo o se per una  truffa degli organizzatori, il produttore e la band vengono invece spediti in Vietnam (che doveva essere solo uno scalo dell’aereo per poco tempo) per tre mesi proprio durante il periodo del conflitto e in piena zona di guerra, a cantare per i soldati nelle basi americane di Saigon, Chu Lai e Da Nang.

È l’inizio di un vero e proprio calvario per le cinque ragazze, in quanto non è possibile per loro tornare in Italia (i produttori, per non pagare la penale preferiscono lasciarle là dove sono). vengono così costrette a passare tre mesi in una zona di guerra, a stretto contatto tra le esplosioni e le bombe e in condizioni molto spesso precarie.

L’esperienza in Vietnam sarà per loro devastante e le porterà in seguito a sciogliersi definitivamente e a finire dimenticate da tutti gli annali della storia della musica italiana.

Narrato dalle stesse protagoniste della vicenda e impreziosito con materiali d’epoca (tra gli altri. un video del vero Adrian Cronauer, il celebre disc-jockey interpretato da Robin Williams nel film Good Morning Vietnam), Arrivederci Saigon narra una Storia (con la esse maiuscola) universale partendo da un punto di vista particolare ma allo stesso tempo emblematico. Una vera e propria testimonianza di un’epoca che è stato uno spartiacuqe importante tra “prima” e “dopo” e che tutt’ora fa riflettere e pensare.

Non mancano, ad esempio, da parte delle ex musiciste del gruppo, critiche più o meno velate al loro trattamento in Italia dopo il ritorno: le accuse da parte dell’amministrazione di Piombino (legata al PCI) per essere andate a cantare per i soldati americani e, dall’altra parte, le accuse di falsità da parte della DC per aver parlato dei comportamenti discriminatori e violenti dei soldati americani nei confronti dei vietnamiti.
Una sorta di vera e propria censura (condita da maschilismo e volgarità) che ha fatto sì che la vicenda delle Stars finisse dimenticata e “cancellata”.

Arrivederci Saigon è dunque un film necessario da vedere per avere una testimonianza diretta e non banale sul conflitto in Vietnam, ma anche per capire la nostra storia nazionale e la condizione femminile dell’epoca (e il conseguente #MeToo di oggi). Il materiale d’archivio mostrato è variegato e interessante e offre una panoramica del conflitto a 360 gradi diventando così, allo stesso tempo, un documento storico e una testimonianza umana notevole.

La colonna sonora con brani dell’epoca infine (ma forse non c’è bisogno di dirlo) non può che stimolare la visione di questo documentario.

 

Locandina del film Arrivederci Saigon di Wilma Labate – immagine presa da www.MyMovies.it

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