Un sicario di professione, silenzioso e letale, scivola nelle notti al neon delle metropoli asiatiche per eliminare i suoi obiettivi, ma una volta lavato via il sangue dalle mani si dedica alla preparazione di deliziose pietanze nella cucina di un ristorante. Questo personaggio paradossale e ricco di sfumature è l’affascinante Mr. Long, protagonista dell’omonima pellicola del regista giapponese Sabu, in arrivo nelle sale il 29 agosto per la distribuzione della Satine Film.

La storia del misterioso killer di Taiwan prende vita nei locali notturni di Tokyo, dove la preda è un gangster della malavita; purtroppo la missione fallisce, Long si salva per miracolo e si rifugia in una baraccopoli di periferia abitata da tossicodipendenti. Tra gli edifici in rovina, Long viene soccorso dal piccolo Jun e in seguito accolto da una comunità di strambi vecchietti, che lo prenderanno in simpatia, rapiti dalla sua deliziosa cucina, e gli costruiranno un carretto per servire fumanti noodles davanti a un tempio. Long, in cerca di soldi per tornare indietro, decide di assecondare l’iniziativa, finendo poi con l’affezionarsi a suoi nuovi amici e in particolare al dolcissimo bambino, la cui giovane madre vive in uno stato di profonda dipendenza dalla droga. Ma purtroppo il destino è dietro l’angolo.

Appare ben chiaro nel corso della visione che Mr. Long non è un film facilmente ascrivibile a un genere in particolare, ma un racconto dove si uniscono armonicamente e senza traumi narrativi il thriller, il dramma familiare e la storia d’amore tragica, non senza la presenza di umorismo. L’abilità di Sabu è infatti quella di tirare le fila di una storia mai scontata e di ritrarre un personaggio dalle mille sfaccettature, grazie anche alla coinvolgente interpretazione di Chang Chen. Long è un assassino impietoso e gelido ma è anche un uomo dotato di grande sensibilità, nonostante il suo viso non tradisca alcun tipo di emozione e i dialoghi con gli altri personaggi, anche per una questione linguistica, siano ridotti praticamente all’osso. Le poche parole pronunciate da Long si rivolgono esclusivamente a Jun, un bambino costretto a crescere troppo in fretta, l’unico capace di comprendere il cinese mandarino ma anche di stabilire con l’uomo un autentico rapporto d’affetto, che permette a entrambi di lasciarsi la solitudine alle spalle. Non è dunque un caso che sia proprio attraverso la cucina, il puro atto di nutrire e prendersi cura del prossimo, che la vera natura di Long si riveli senza filtri agli occhi di lo circonda e che diventi per Jun e sua madre Lily, una donna tormentata da un tragico passato, uno spiraglio di luce verso il futuro.

Direttamente dal Festival di Berlino del 2017, dove ha conquistato critica e pubblico, il film di Sabu è un messaggio di rara delicatezza, un racconto articolato ma reale, crudo e tenero, pregno di sentimenti autentici ma non lacrimevoli, una storia in grado di dipingere l’estrema e sottovalutata bellezza di una vita ordinaria.

 

 

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