A tre anni di distanza dal capitolo precedente, la Disney porta nelle sale Ant-Man and the Wasp, secondo film della serie di Ant-Man, terzo film del 2018 che appartenga alla saga del Marvel Cinematic Universe (MCU) e ventesimo capitolo della saga nel suo complesso. Diretto, come il precedente, da Peyton Reed, il film è ambientato cronologicamente poco prima di Avengers: Infinity War, e racconta dell’impresa del team formato da Scott Lang/Ant-Man (Paul Rudd), Hope van Dyne/Wasp (Evangeline Lilly) e il dottor Hank Pym (Michael Douglas), gli eroi dell’Ant-Man originale. Il loro obiettivo è salvare Janet, madre della seconda e moglie del terzo, ridotta a dimensioni infinitesime e intrappolata nel regno quantico già visto nel primo film.

Dopo venti film e dieci anni di utilizzo, la formula del cinefumetto MCU è ormai talmente rodata e perfezionata da non lasciare più sorprese agli spettatori. Ant-Man and the Wasp non è infatti un film senza meriti, né tantomeno un brutto film, ma una persona che abbia già visto i diciannove capitoli precedenti della saga non potrà che giudicarlo come un qualunque blockbuster d’evasione o, se è attento agli sviluppi del MCU come macrostoria, come un film che non aggiunge praticamente nulla all’insieme.

Per capire i problemi del film, può essere utile paragonarlo al primo Ant-Man del 2015 e alla sua storia produttiva. Originariamente infatti Ant-Man era stato scritto da Edgar Wright e Joe Cornish e avrebbe dovuto essere diretto da Wright. L’annuncio di un simile team al lavoro per un film Marvel, che già aveva scritto Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno (2011) di Steven Spielberg, aveva stupito e lasciato entusiasti molti appassionati: Wright ha scritto e diretto film considerati ormai dei veri e propri cult, primo fra tutti L’alba dei morti dementi (2004), e Cornish è regista e sceneggiatore di Attack the Block (2011), anch’esso in ascesa per lo status di futuro cult. In seguito tuttavia le divergenze creative tra Wright e la Disney portarono il regista ad abbandonare il progetto; la sceneggiatura venne modificata dallo stesso attore protagonista Paul Rudd e da Adam McKay, e come nuovo regista fu scelto Peyton Reed. Il risultato fu un film che funzionava, con trovate brillanti basate sia su dialoghi spassosi che su gag fisiche incentrate sulle abilità miniaturizzanti dei personaggi; quel che si sentiva in modo evidente però era anche la sensazione di un enorme potenziale sprecato, piegato alle logiche standardizzanti della Disney.

Ant-Man and the Wasp, pensato fin dall’inizio per essere diretto da Reed e scritto da un team di sceneggiatori che ha in comune solo Rudd con quelli del primo film, ricalca le tipologie di gag usate in quest’ultimo, ma stavolta in una veste totalmente assoggettata allo stile dei più inoffensivi blockbuster per famiglie. Se la sceneggiatura di Wright e Cornish era stata modificata lasciando tuttavia un’impronta dello stile dei due autori, qui ci troviamo di fronte ad un prodotto creato sì sulla scia del precedente, ma impostato in modo da livellare tutto ciò che di autoriale poteva esserci nel primo Ant-Man. L’umorismo a tratti risulta davvero infantile e trito, e c’è il non trascurabile problema del “già visto”. Le trovate visive del primo Ant-Man mettevano la miniaturizzazione al servizio delle scene d’azione, sia per creare comicità che per vivacizzare i combattimenti, e potevano divertire e intrattenere anche perché erano qualcosa di mai visto al cinema, o almeno di mai utilizzato in quei modi. Nel ritrovarle all’interno del seguito è inevitabile che l’effetto sorpresa venga meno, dimezzando così l’efficacia delle scene stesse.

Al di là del confronto con il predecessore e l’MCU, il film è comunque una buona macchina d’intrattenimento, sorretta da una coppia di supereroi davvero efficace, che tra lotte, inseguimenti e battute lascia scorrere le quasi due ore di proiezione senza problemi. Per una volta in questo universo, nel quale i villain hanno fin troppo spesso la profondità di una pozzanghera, la figura dell’antagonista principale risulta caratterizzata in maniera più complessa rispetto al solito. Da apprezzare anche il rilievo dato al personaggio di Hank Pym, che in questo capitolo dimostra tutto il suo coraggio e diventa anch’egli un eroe d’azione, anziché un “semplice” scienziato di supporto. Per i pochi che non avessero visto Infinity War, Ant-Man and the Wasp riserva anche uno sfizioso cliffhanger al termine dei titoli di coda. L’ennesima riprova di come ormai per tutti i film MCU le dinamiche intertestuali costituiscano un considerevole pregio/difetto, a seconda di come li si guardi.

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