Di persone scomode l’Italia – e verrebbe da dire per fortuna – ne è sempre stata piena. Una di queste è Giuseppe “Pippo” Fava, il giornalista siciliano ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984.

A ricordarlo sarà il film tv Prima che la notte, diretto da Daniele Vicari e interpretato da Fabrizio Gifuni, Dario Aita e Lorenza Indovina, che andrà in onda su RaiUno mercoledì 23 maggio 2018 alle 21.25, in occasione della Giornata della legalità.

Il film, una coproduzione Rai Fiction-Iif, prodotto da Fulvio e Paola Lucisano, è scritto da Claudio Fava, Michele Gambino, Monica Zappelli e lo stesso Vicari.

Alla conferenza stampa di presentazione, che si è tenuta nella sede Rai di Viale Mazzini, hanno partecipato i protagonisti del film, la presidente della Rai Monica Maggioni e alcune delle persone più vicine a Fava, tra cui il figlio Claudio e uno dei suoi “carusi”, Michele Gambino.

Il regista Vicari, contento della definizione di “opera rock” attribuita al lavoro, ha spiegato che «il film inizia con Fava che torna a Catania nel 1980, lo stesso anno in cui American Gigolo sta per sconvolgere il pubblico di tutto il mondo e per questo abbiamo deciso di iniziare esattamente come quel film, con un uomo che va da qualche parte con la sua macchina ascoltando Call me. Il mondo rock è il racconto della forza, crudezza, ma anche della speranza di quegli anni». Poi, dopo aver ringraziato l’intero cast, ha aggiunto: «Un film riuscito vive delle passioni di tutte queste persone e poi esiste un’etica del cineasta: noi dobbiamo mettere al servizio le nostre competenze per realizzare l’opera migliore possibile e cercare di riprodurre sul set l’energia che circola fra le persone».

Soddisfatto per la riuscita del film è Claudio Fava, figlio di Giuseppe e autore con Michele Gambino dell’omonimo libro edito da Baldini & Castoldi da cui è tratta l’opera, ora presidente della commissione antimafia in Sicilia: «Spesso il limite è raccontare la storia attraverso la morte di queste persone. Questo film ha messo da parte la dimensione dell’eroismo, che ci allontana da queste vicende. Non si racconta la mafia, ma il potere che si nutre di mafia. Si racconta una lotta che è fatta da una capacità di sorridere, di vivere la precarietà quasi come una condizione privilegiata».

Don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione Libera, rincara la dose: «È davvero un film bello. – ripete più volte – Emerge l’uomo colto, curioso, allegro, ottimista, divorato dalla passione per il giornalismo. Era però un uomo che grida nel deserto. Emerge l’etica professionale di Fava, il suo considerare il giornalismo come un punto di forza della democrazia, quando viene svolto con rigore e con coraggio. Dobbiamo parlare dell’etica come professione. – continua – L’etica deve essere alla base dei nostri percorsi. Fava era un uomo dritto, verticale, che desidera vivere, non sopravvivere».

«Fava è un personaggio che ogni attore vorrebbe incontrare – racconta Fabrizio Gifuni, che nel film lo interpreta – Era un uomo atipico, originale, eccentrico, un artista, un uomo dai mille talenti. È un film che parla anche di teatro, che è un luogo dove io mi gioco tutto, fisicamente». Ed è infatti proprio nella scena in cui si trova a teatro che Gifuni dà il meglio di sé, nella conversazione col suo collega, dove l’attore riesce a trasmettere la chiarezza delle idee e l’onestà intellettuale che hanno caratterizzato la vita e l’operato di Fava.

Infine Michele Gambino offre il suo ricordo personale dell’uomo e del giornalista: «Ho vissuto una buona parte della vita a cercare di essere all’altezza del mio direttore. In questo lavoro di denuncia ci siamo persi la vitalità, l’allegria, la capacità di sorridere di Fava. I suoi articoli non mandavano in galera i mafiosi, ma facevano passare la voglia di stringere loro la mano, e per questa gente era molto peggio, perché fondavano il loro potere sull’ossequio, sulla riverenza, sulla paura di tutti».

Il film inizia col ritorno di Pippo Fava a Catania, dopo anni passati a Roma dove ha raggiunto il successo grazie ai sui lavori in ambito teatrale, cinematografico ed editoriale. Gli è stato offerto di diventare direttore di un giornale e quella sembra essere l’occasione giusta per ritrovare la sua terra e la sua famiglia. Guidato da una ben precisa idea di giornalismo e incurante della censura, Pippo si lancia in questa nuova avventura, circondandosi di una serie di “carusi”, ai quali trasmette la sua passione e i suoi ideali.

La sua città tuttavia è profondamente cambiata da come l’aveva lasciata, la presenza della mafia è palpabile, ma ancora più palpabile è l’indifferenza della gente e delle istituzioni di fronte alla realtà. Ma per Fava non si può più tacere, tanto che inizia a raccontare quello che succede intorno a lui e a fare i primi nomi, come quello di Nitto Santapaola, apparentemente un uomo innocuo e benvoluto da tutti, in realtà uno spietato capo mafia, autore di numerosi regolamenti di conti. La situazione velocemente precipita e la posizione di Fava diventa sempre più scomoda: gli editori decidono di bloccare le stampe del suo giornale e poco dopo lo licenziano. Ma questo non basta a fermarlo. Riunito con i suoi fedeli collaboratori in una cooperativa, fonda il mensile I Siciliani, che andrà a ruba in poche ore, in Sicilia e fuori. Nella prima copertina compaiono i volti dei Cavalieri del lavoro di Catania, di cui vengono svelate le protezioni politiche, le relazioni pericolose e le amicizie con Santapaola. Fava ormai è entrato nel mirino della mafia, che lo ucciderà di lì a poco, la sera del 5 gennaio 1984, con cinque colpi alla nuca mentre è all’interno della sua auto.

Come ribadito dai protagonisti in sede di conferenza stampa, ciò che viene fuori da questo film, «che ha un’impronta cinematografica – sostiene la produttrice Federica Lucisano – per la durata complessiva del lavoro, 4 anni, e per la presenza di due personalità come Vicari e Gifuni», è l’incorruttibile etica professionale di Giuseppe Fava, di un uomo che non si fa comprare dietro laute ricompense e che pur di portare avanti i suoi progetti si mette contro i potenti. Perché, diciamolo, l’Italia che è rappresentata nel film è la stessa di quella di oggi («Sono solo parole. – gli dice un collega e amico – Tu ci credi veramente, io mi sono accomodato»), in cui si preferisce tacere e far finta di niente pur di trovare o mantenere una posizione sicura nella società.

E la presenza costante dei ragazzi è significativa proprio perché si vuole mettere a confronto la vita di un uomo vissuto, con un bagaglio di esperienze di tutto rispetto alle spalle, che ha ormai trovato una sua strada, e quella di un gruppo di giovani che deve ancora affacciarsi al mondo, un mondo difficile e pieno di ingiustizie, dove è più facile farsi strada come “figlio di” invece di conquistarsi una posizione con le proprie forze e opponendo i propri ideali a quelli di chi detiene il potere.

Si sa, trovare qualcuno in grado di urlare che il re è nudo comporta un certo coraggio e anche tanta ironia, che a Fava non mancava affatto: «Dovete divertirvi – diceva ai suoi ragazzi – è un lavoro, ma è pur sempre un gioco». E se, come scriveva il suo conterraneo Pirandello, l’umorismo deriva dal “sentimento del contrario”, Fava è stato abile nel rendere questo ossimoro con la sua scrittura e con le sue azioni, velando con un sorriso la malinconia provata nel vedere la sua città contagiata dal cancro della mafia.

Fiorenza Petrocchi

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